Il primo segno è apparso fin dal volo per Dublino. Sulla prima pagina dell’Irish Times, come notizia di apertura c’era il boom dei prezzi delle case in Irlanda che hanno superato gli anni d’oro dell’edilizia. Per un Paese che era considerato in crisi, la “i” dei pigs, non mi sembra male. Così come non mi sembra male tutto il mood del giornale: numerose notizie positive, un tono sereno nella narrazione dei fatti e praticamente zero spazio a polemiche e a bla bla bla dei politici. C’era un supplemento dedicato alle persone di terza età talmente ricco di opportunità che mi ha fatto venire voglia di avere novant’anni. Forse tutto può sembrare eccessivo ma pensando ai nostri media che danno spazio a chi urla e piange un primo dubbio che forse ci stiamo sbagliando mi è venuto.
E questo dubbio mi è riapparso più volte durante le mie poche giornate dublinesi. Come alla sera di Halloween quando ho visto molti poliziotti che hanno trascorso la notte a impedire che i minorenni entrassero nei locali che servivano alcolici. Era buffo vederli acciuffare per il bavero quei ragazzini e bloccarli sull’entrata o farli uscire controllando che non riprovassero a infilarsi in qualche altro locale. E i ragazzini ovviamente ogni volta ci riprovavano. Il tutto senza arresti, senza multe e senza rovinare la festa agli altri. Più che poliziotti sembravano dei fiduciari dei genitori. Mentre da noi al massimo avrebbero dato multe ai locali. Considerando che da noi lo Stato troppo spesso più che intervenire in aiuto dei cittadini, genitori o figli che siano, agisce solo per punire e per fare cassa, ancora una volta il dubbio che ci stiamo sbagliando mi è venuto. E mi è venuto di nuovo quando ho raccontato questa scena a John, un avvocato di affari molto gentile e appassionato dell’Italia. Gli ho chiesto come hanno fatto a uscire dalla crisi e lui mi ha risposto che è stato semplice, è bastato ridurre il peso dello Stato e tenere basse le imposte. “Quanto pagate voi di imposte?”, gli ho chiesto. Per le imprese sono al 12,5%. Io gli ho detto che da noi di fatto sfiorano il 70% e lui ha sgranato gli occhi come avesse davanti il fantasma di James Joyce. Mi ha detto che anche da loro i politici non sono un granché ma almeno hanno capito che bisogna favorire le imprese che nei nostri sistemi producono la ricchezza che serve a mantenere tutti. Proprio l’opposto rispetto a noi che viviamo in un Paese dove chi fa impresa è sempre nel mirino dello stato.
Il sospetto che ci stiamo sbagliando mi è venuto anche all’interno del Web Summit. Qui non c’entra lo Stato ma riguarda l’approccio alle start-up. Mi spiego meglio. Il web summit di Dublino è impressionante. Un numero chiuso di 10mila visitatori da tutto il mondo, decine di speaker di livello mondiale (purtroppo nessun italiano), una copertura mediatica impressionante e un migliaio di start-up. Ognuna di loro pagava in media 900 euro al giorno e in cambio aveva un piccolo spazio su una bacheca di compensato stile università, neppure una sedia e accesso a un wi fi che funzionava pure male, in rapporto a quello riservato ai giornalisti e agli speaker. Quindi lo schema era questo: le start-up che pagavano più di tutti, venivano trattate malissimo, con servizi essenziali e senza alcun benefit. La stampa che entrava gratis aveva accesso ad aree riservate e servizi di grande qualità, molto superiori a quelli di solito riservati ai giornalisti da noi in Italia. Per non parlare degli speaker pagati bene, mi ha detto l’organizzazione, e serviti ancor meglio. Da noi invece la piramide è capovolta. Con gli speaker che di regola partecipano gratuitamente, la stampa trattata con sufficienza e le start-up a cui sembra un crimine chiedere dei soldi. Sì, perché parlando di start-up scatta subito un atteggiamento pietistico del come si fa a chiedere soldi a questi ragazzi che non hanno un euro, poveri piccoli. Poveri piccoli che però a Dublino vengono trattati a pesci in faccia e infatti aggirandomi nel reparto dei compensati delle start-up, chi si lamentava del trattamento erano proprio gli italiani (ma non tutti, certamente non quelli di myprofy.com ndr). All’inizio vedendoli così, reduce dal nostro retaggio assistenzialista, anch’io ho provato un po’ di compassione per quei ragazzi, ho pensato che li stavano fregando e che con quello che avevano pagato era assurdo trattarli così male. Ma poi ho pensato che l’assistenzialismo con business non ha raggiunto poi questi grandi traguardi e che dal nostro modo di trattare le start-up con pietà non mi pare siano usciti molti grandi successi internazionali. Così di nuovo mi sono chiesto: e se ci stessimo sbagliando anche in questo? Chi parte con una start-up ha davvero bisogno di essere viziato da continue pacche sulle spalle e di illudersi che ce la può fare anche senza il becco di un quattrino? Oppure sarebbe meglio che capisse prima possibile che si deve conquistare il suo posto sul mercato, lottando con il coltello tra i denti, dovendo lavorare di più e anche pagare di più degli altri per raggiungere il suo successo? Sì, anche pagare, perché la filosofia della gratuità, per cui a chi ha una start-up tutto deve essere dato gratis e senza richiedere nulla in cambio, è forse il modo migliore per rammollire chi deve fare impresa indirizzandolo a un lento ma sicuro fallimento.
Ci stiamo sbagliando ragazzi, cantava nei primi anni ottanta Luca Carboni che un giorno lo ha capito e invece di proseguire su quella strada ha inciso una canzone e ha iniziato una nuova carriera che gli ha portato fortuna. Forse dovremmo capirlo che ci stiamo sbagliando anche noi e che con questa mentalità compassionevole nel mondo di oggi invece che compassione otterremo solo dei grandi schiaffoni.
Qui di seguito una selezione di video degli interventi interessanti scelti dall’autore di questo articolo tratti dal Web Summit di Dublino
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