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La magistratura francese, dopo quattro giorni di arresto, ha rilasciato il ceo di Telegram Pavel Durov. Arrestato all’aeroporto di Le Bourget, vicinissimo a Parigi, nell’ambito di un’inchiesta giudiziaria aperta a luglio su 12 presunte violazioni penali.
Sembrerebbe essere un controsenso, eppure, quando di mezzo ci sono interessi economici e intrighi geopolitici, tutte le carte si possono mischiare. È difatti che attorno a tale notizia il dibattito si è scatenato, soprattutto per la sua piattaforma, Telegram, che ha fatto sua la bandiera della privacy. E proprio per avere una policy molto serrata sulla crittografia delle chat e la non condivisione dei contenuti, si legano le accuse volte a Durov.
Le accuse
Dei 12 capi di accusa contro ignoti su cui si è mossa la Procura francese, sei sono in merito ad addebiti per complicità, dalla “gestione di una piattaforma online per facilitare una transazione illegale all’interno di gruppo organizzato” a quella di “frode organizzata”, fino alla complicità nel possesso di immagini pedopornografiche e nella loro distribuzione e condivisione. Inoltre, complicità per spaccio di stupefacenti, per traffico di programmi per condurre attacchi informatici e per frodi.
La Procura indaga anche per “rifiuto di comunicare, su richiesta delle autorità competenti, informazioni o documenti necessari per effettuare e operare intercettazioni autorizzate dalla legge”, riciclaggio e associazione a delinquere.
Poi ci sono i tre capi di imputazione che riguardano la crittografia: “fornitura di servizi di crittografia finalizzati a garantire la riservatezza senza dichiarazione certificata”, “fornitura di uno strumento di crittografia non destinato esclusivamente all’autenticazione o al monitoraggio dell’integrità senza previa dichiarazione” e “importazione di uno strumento di crittografia destinato all’autenticazione o al monitoraggio dell’integrità senza previa dichiarazione”.
Dalla nota diramata a prima vista, subito dopo la notte del suo arresto, non sembrava chiaro se tali capi di accusa riguardassero solo Durov o Telegram. Infatti, inizialmente Durov era stato fermato come persona informata sui fatti nell’ambito di diversi procedimenti su ignoti con quei capi di accusa. Proprio per questo non era detto che tutti fossero riferiti o riferibili a lui.
Il contesto
Forse, in quanto russo, forse in quanto spia russa, questa come altre sono le ipotesi suscitate. Durov ha diversi passaporti: la sede di Telegram è a Dubai e lì vive. Ha poi passaporto russo, nevisiano e francese. Quest’ultimo ottenuto per meriti imprenditoriali nel 2018, riconosciuto dallo stesso Macron, che, tempo addietro, voleva che Telegram avesse sede in Francia.
Ma è nel 2014 che lascia la Russia, dopo essersi rifiutato di accogliere le richieste del Governo di chiudere le comunità presenti su VK, il suo primo esperimento di social network, molto simile al secondo. Poi venduta VK, nel 2016 la Russia blocca lo stesso Telegram. Ecco che recarsi proprio in Francia, dopo non aver risposto alla gendarmeria sul rilascio di alcuni log della piattaforma, ha fatto suscitare differenti ipotesi e dubbi. Anche se la nota infatti è stata diramata solo qualche ora successiva al fermo, va precisato quanto espresso dal procuratore di Parigi, Laure Beccuau: che Durov è stato arrestato come parte di un’indagine “su ignoti” una o più persone sconosciute – che è stata aperta l’8 luglio a seguito di un’indagine preliminare condotta da ufficiali della Giurisdizione nazionale per la lotta alla criminalità organizzata. E qui Laure Beccuau ha citato “una quasi totale assenza di risposta da parte di Telegram alle richieste giudiziarie”. Infatti, sembrerebbe che per anni l’azienda abbia ignorato le citazioni in giudizio e gli ordini del tribunale inviati dalle autorità, accumulati in un indirizzo e-mail aziendale raramente controllato, secondo una persona vicina a Durov.
Un “improbabile” paradosso
Ricordiamoci il caso Assange. È qui che la notizia avrebbe del paradosso: i Paesi per cui molto spesso si sentono storie simili di incarcerazioni politiche sono la Russia e la Cina. Stavolta però si tratta della Francia, il Paese della Liberté, égalité, fraternité con la parentesi dei Giochi olimpici e paralimpici ancora aperta. Cioè, come ha imbeccato Tucker Carlson in una intervista, Durov sfuggirebbe dalla Russia per non cedere alle pressioni di Putin all’epoca del suo primo social network (VK), per poi essere arrestato sotto le pressioni del secondo social in Francia.
Arrestato presso Parigi dopo l’atterraggio di un volo, privato, a seguito di una indagine preliminare scattata a luglio. Un aereo che, come tipologia, aveva una autonomia di serbatoio per un viaggio di 6 ore, e, al momento dell’arrivo all’aeroporto, ne erano trascorse circa 5 e mezza. Se la scelta di atterrare in Francia sia un caso o atto volontario, è ancora un mistero. Sta di fatto che Durov era di certo a conoscenza dell’indagine aperta, come se si fosse quindi volontariamente consegnato.
“In uno Paese governato dallo stato di diritto, le libertà sono sostenute all’interno di un quadro legale, sia sui social media sia nella vita reale, per proteggere i cittadini e rispettare i loro diritti fondamentali”, ha scritto Macron su X, aggiungendo che l’arresto “non è stato in alcun modo una decisione politica”. “Spetta alla magistratura, in piena indipendenza, far rispettare la legge”, ha affermato.
Il DSA europeo
D’altro canto, ci sono le politiche europee, che minano proprio le scelte di Durov e della sua piattaforma. E proprio la compliance normativa europea va a supporto dei reati imputabili. Si pensi per esempio al DSA. Il Digital service act è nato per limitare il potere di queste piattaforme come delle big tech, quelle grandi, quelle che contano più di 45 milioni di utenti (vale a dire circa il 10% della popolazione europea), e costringerle ad avere piena consapevolezza sulle loro responsabilità nonché attuare le azioni necessarie ad adempiere alle normative che prevede. Legge che vincola loro e anche le piattaforme, motori di ricerca, social media, e-commerce, marketplace operanti nei settori dei viaggi, del cloud e dell’ospitalità, a rivelare i propri algoritmi.
Telegram ha però affermato in una dichiarazione di essere conforme al Digital Services Act. E infatti Telegram deve ancora essere designata dall’UE come piattaforma “molto grande”, ovvero quelle con oltre 45 milioni di utenti mensili medi nel blocco europeo, sottoponendo l’app a un monitoraggio e a un’aderenza alle normative più rigorosi.
Il reato contestato però non sarebbe quello di favorire tali capi di accusa, ma quello che riguarderebbe la mancata rimozione di alcuni contenuti a valle di un ordine della magistratura. Quindi non si tratterebbe di una moderazione a priori, ma post. Ovvero una volta che vengono segnalati tali contenuti, Telegram non li rimuoverebbe. In più non risponderebbe alle richieste della magistratura. Ecco che non cooperando con le forze dell’ordine Durov da anni si va arrischiando la nomea di collaboratore, cospirazionista. Eppure, l’arresto apparirebbe essere una misura esagerata.
Finirà pagando con una multa e qualche filtro in più? È qualcosa di molto più serio? Oppure sarà un fatto che farà la storia? O è solo una storia tech estiva?
Va sottolineato che la piattaforma di Durov, a differenza di tutti i suoi competitor, ricorda i siti internet ai tempi di Perly Barrow, in quanto a differenza degli altri CEO di social media, Durov non si comporta da editore ma da gestore, non avendo quindi alcun potere sui contenuti.
Cosa lo aspetta
Con la scarcerazione, lo scenario continua a essere in evoluzione rispetto alle prime informazioni diramate dopo l’arresto. Durov è stato interrogato durante il fermo di polizia di 96 ore, come da procedura che si può applicare ai reati al centro dell’inchiesta.
Sebbene gli sia stata concessa la libertà condizionale, la sua cauzione è costata cinque milioni di euro e a condizione che si presenti due volte a settimana presso una stazione di polizia francese, come ha affermato il procuratore di Parigi Laure Beccuau in una dichiarazione in seguito a un’udienza durata ore. E, dopo un’indagine che probabilmente durerà mesi o addirittura anni, i giudici potrebbero alla fine decidere di ritirare le accuse.
La vicenda sembrerebbe un intrigo internazionale per quanto riguarda le diatribe tra Francia e Russia, e invece, per la faccenda dell’arresto e le accuse Durov verrebbe da parafrasare una famosa frase di Edward Snowden che recita: “affermare che non si è interessati al diritto alla privacy perché non si ha nulla da nascondere, è come dire che non si è interessati alla libertà di parola perché non si ha nulla da dire”, o viceversa. (foto: NickLubushko, CC BY-SA 4.0, via Wikimedia Commons)
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