Dati Aifi 2014, l’Italia col freno a mano

La contrazione rispetto al 2013 è del 47,8% in termini di ammontare investito e del 32,9% in termini di numero delle operazioni. In totale nel 2014 sono stati investiti 43 milioni di euro in 106 operazioni early stage (seed e startup) contro gli 81 milioni spalmanti in 158 operazioni del 2013. Questa la sintesi dei dati relativi agli investimenti a supporto delle startup che emergono dall’annuale analisi presentata oggi da Aifi, l’Associazione italiana del private equity e venture capital. I 14 milioni di euro rilevati nel primo semestre (si veda articolo) non sono quindi cresciuti moltissimo nella seconda parte dell’anno e il dato finale resta drammaticamente inferiore a quello, già non certo sufficiente, del 2013. Secondo Anna Gervasoni, direttore generale di Aifi, il motivo principale di questa contrazione è la fine dell’effetto che aveva generato il fondo HT per il Mezzogiorno che aveva favorito investimenti in startup con sede nelle regioni del sud, considerazione confermata anche da un ritorno delle regioni del nord del Paese quali concentratori della gran parte degli investimenti che invece lo scorso anno avevano visto una crescita proprio nel Mezzogiorno. In generale l’andamento degli investimenti e della raccolta non è però negativo perché altre tipologie crescono come per esempio è il caso delle operazioni di turnaround e di expansion, la crescita nel complesso è del 2,9% e tocca quota 3,5 miliardi di euro complessivi anche se il numero delle operazioni diminuisce passando da 368 del 2013 a 311 dello scorso anno. Tornando all’early stage emerge come gli operatori più attivi sono quelli specializzati in questo tipo di investimento (35%) insieme alle Sgr generaliste (36%), buona anche la quota degli operatori regionali e pubblici (27%) mentre le investment company si fermano al 2% del totale. L’investimento medio early stage appare essere i 400mila euro e il numero degli operatori specializzati è passato da 24 a 20. In termini di raccolta a fronte di un totale di 1,3 miliardi di euro di cui per la prima volta la maggioranza (68%) provenienti dall’estero (con fondi sovrani e compagnie assicurative molto attivi), solo il 7% è stato destinato agli investimenti early stage high tech. In termini di disinvestimenti un altro dato positivo, parlando sempre della situazione generale e non solo delle startup, che si concretizza con un IRR lordo del 19,7% che in termini assoluti significa circa 5 miliardi di euro anche se le IPO sono state solo due nel corso dell’anno. Durante il convegno di presentazione sono stati toccati molti temi come il confronto internazionale che secondo tutti i principali indicatori vede l’Italia essere ancora più vicina ai numeri della Spagna piuttosto che a quelli di Francia e Germania che invece si sono avvicinate tra loro crescendo un poco entrambe, lontana resta la Gran Bretagna che mantiene saldamente la posizione di leader europeo secondo tutti gli indicatori principali. Altro aspetto delicato emerso è quello delle normative che tengono l’Italia ancorata a un’eccessiva struttura di controllo e a una cronica lentezza delle istituzioni che si è ampiamente dimostrata con il recepimento sulla norma europea per la regolamentazione dei fondi che Francia, Germania e Regno Unito hanno approvato nella primavera del 2013 e che noi invece riusciamo solo ora a portare a compimento con quasi due anni di ritardo rispetto alle altre grandi economie del Continente. Tale normativa prevede una serie di adempimenti e definisce gli operatori secondo soglie di capitale gestito, soglie che sono state adottate in modo uniforme da Germania, Francia e Gran Bretagna attestando il livello di discriminazione a 125mila euro, mentre in Italia si è fatta una scelta diversa che potrebbe rivelarsi vincente perché lascia maggiore libertà di manovra ai piccoli sotto i 50mila euro. Ciononostante Nino Tronchetti Provera, commissione mid market di Evca (European Private Equity and Venture Capital Association) ha posto grande enfasi sul fatto che benché l’Italia e le imprese italiane hanno grande capacità, grande potenziale attrattivo, grande competenze e forza competitiva il nostro Paese resta drammaticamente indietro rispetto alle altre grandi economie europee per quanto riguarda sia la raccolta sia gli investimenti e ciò è dovuto principalmente alla eccessiva struttura normativa, alla lentezza istituzionale e alla mancanza cronica di coraggio come quella che vede i fondi pensione italiani ancora al palo in termini di capacità di investimento rispetto a quelli di altri Paesi. Di contro Claudio De Vincenti, vice ministro per lo Sviluppo economico, si è affrettato a difendere l’operato del governo attuale e dei due precedenti, dei quali pure ha fatto parte. Benchè sia da riconoscere che gli ultimi governi abbiano mostrato una maggiore consapevolezza resta ancora da colmare un ritardo abissale che per essere adeguatamente affrontato richiederebbe un coraggio ben lontano da quello che il governo attuale mostra di avere e una politica più credibile ed efficace diversamente da una strategia del tutto caotica come quella che vede applicare detrazioni fiscali a chi investe in early stage, ma poi aumenta la tassa sul capital gain o preferisce creare bandi con prestiti e mutui piuttosto che puntare sull’equity per cercare di replicare i risultati del fondo HT per il Mezzogiorno che Aifi ha definito positivi. Forse è ancora prematuro stabilire se la legge sulle startup innovative, la norma sul crowdfunding e altre misure del governo che pure sono già formalmente attive dal 2012 avranno effetti positivi sull’ammontare degli investimenti early stage nei prossimi mesi o anni, ma è certo che con questi numeri, sia in termini di andamento sia in termini assoluti, l’Italia resta un Paese che fa fatica a crescere perché qualcuno continua a tenere tirato il freno a mano nel vano tentativo di salvaguardare rendite di posizione ormai anacronistiche. Il mercato italiano del PE e VC nel 2014   (image credits)

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