Nuova tappa del nostro viaggio tra i centri dell’innovazione italiana. Questa volta approfondiamo la conoscenza dell’Agenzia nazionale per le nuove tecnologie, l’energia e lo sviluppo economico sostenibile, ovvero dell’ENEA. Con oltre 1.500 unità, tra ricercatori e tecnologi, le attività scientifiche e di sviluppo tecnologico dell’ENEA, relative agli ambiti ambiente e sostenibilità, tecnologie energetiche, efficienza energetica, fusione e sicurezza nucleare, vengono svolte nei nove Centri di Ricerca sul territorio nazionale, ai quali si aggiungono cinque laboratori (Sviluppo materiali, Radioprotezione, Tecnologie Energetiche, Osservazione dati climatici). Un viaggio interessante quindi per chi è appassionato di risultati della ricerca e di potenziali ricadute ed impatto positivo in termini produttivi e sociali. Alla ricerca di soluzioni tecnologiche per la chiusura dei cicli, per il riuso, il riciclo, la riduzione di scarti e sprechi, l’edilizia sostenibile, ma anche per la produzione di energia pulita e sicura, per soddisfare le esigenze di una popolazione mondiale in forte crescita e proteggere il nostro Pianeta. Una delle priorità del Piano Triennale 2018-2020 dell’Agenzia, è quella di una strategia di innovazione, da sviluppare ‘insieme’ alle imprese e al mondo del Venture Capital con l’obiettivo di avvicinare sempre più il mondo della ricerca al tessuto imprenditoriale e di far fronte alla scarsità di investimenti. Non potevo non approfittare della disponibilità di Marco Casagni -Vicedirettore della Direzione Committenza e Responsabile a.i. del Servizio Industria ed associazioni imprenditoriali dell’ENEA – nel raccontare la sua profonda esperienza dei meccanismi del TT e delle sue prossime sfide. Ciao Marco, grazie per essere un partner di EUREKA! Venture SGR. Che valore dai a questa partnership? Cara Anna, l’importanza che ENEA assegna a questa partnership è molto alta, come avrai modo di verificare tu stessa nel corso di questa intervista con la quale spero di riuscire ad illustrarti la strategia sul trasferimento tecnologico che stiamo perseguendo in ENEA, al cui interno la partnership con Fondi di VC rappresenta una delle chiavi fondamentali di successo.
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Marco Casagni – Enea
L’obiettivo di fondo della nuova strategia dell’ENEA è di aumentare sensibilmente l’adozione dei risultati della ricerca sviluppata nei propri laboratori da parte del mondo produttivo, soprattutto nazionale, con un ritorno in primo luogo di competitività per il sistema Paese, contribuendo al tempo stesso a sostenere gli investimenti in ricerca dell’Agenzia.
A tal fine, il servizio preposto alle attività del trasferimento tecnologico deve assumere un ruolo sempre più proattivo, sia nella fase di scouting interna nei propri laboratori, che in quella di attivazione di nuovi contatti con interlocutori imprenditoriali. La nuova strategia di trasferimento della conoscenza di cui l’Agenzia si sta dotando con gli ultimi PTA è ambiziosa, e parte dall’idea che solo investendo su una rete di relazioni stabili e durature con le imprese e dotandosi di strumenti finanziari autonomi sia possibile creare le condizioni per aumentare drasticamente il numero di tecnologie ENEA sfruttate dal sistema produttivo. Molti sono gli elementi ancora da implementare. In primo luogo, sarà cruciale la piena integrazione funzionale del fondo di PoC con il KEP. È, inoltre, necessario maturare, sia a livello di laboratorio che del Servizio che gestisce il trasferimento tecnologico che coordino, una mentalità e un atteggiamento maggiormente proattivo nel rapporto con il sistema produttivo, e creare le condizioni di sostenibilità nel medio/lungo termine della strategia per poterne valutare appieno l’impatto e le ricadute.
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Per rispondere alle frequenti richieste delle imprese e valorizzare ulteriormente l’offerta di competenze ENEA, si sta valutando l’inserimento nel portale KEP di due nuove tematiche di forte “appeal” e con caratteristiche di trasversalità settoriale quali “Materiali avanzati” ed “Economia circolare”, per le quali dovrebbe essere avviata un’attività di scouting all’interno dei laboratori ENEA per mappare le competenze, i servizi e le tecnologie trasferibili al sistema industriale.
L’obiettivo del programma di Proof of Concept (PoC) è invece quello di verificare la fattibilità tecnica e le prospettive di mercato di tecnologie ENEA con un Technology Readiness Level (TRL) relativamente basso in collaborazione con un partner industriale e favorire, in tal modo, la valorizzazione commerciale delle conoscenze dell’ENEA prevalentemente attraverso il licensing. Per le idee innovative con un TRL tendenzialmente compreso fra 2 e 4 è prevista la possibilità di accedere ad un finanziamento ENEA fino a 50.000 euro per coprire i costi vivi di un progetto di sviluppo della durata di 12 mesi da realizzarsi in collaborazione con un partner industriale a cui viene richiesto un apporto di risorse solo in kind (Fase 1). Per le tecnologie con TRL da 4 a 6 è possibile accedere ad un finanziamento ENEA fino a 100.000 euro, per un massimo del 50% dei costi vivi del progetto di sviluppo di durata fino a 24 mesi e in collaborazione con un partner industriale a cui viene richiesto un cofinanziamento delle spese vive oltre al contributo in kind (Fase 2).
La principale peculiarità del Fondo PoC ENEA è la previsione di finanziare, su base competitiva, solo progetti in collaborazione con un partner industriale che soddisfi requisiti di affidabilità economico-finanziaria, che sia presente nel mercato di riferimento della tecnologia da sviluppare e sia in grado di dare un contributo tecnico-innovativo nell’attuazione del progetto presentato.
Nelle prime due edizioni del programma, in risposta a bandi interni, sono state presentate 165 (80 + 85) diverse proposte progettuali per le quali sono state richieste, con appositi Avvisi Pubblici, manifestazioni di interesse da parte di potenziali partner industriali o di investimento. capacità di cogliere le conoscenze esterne (absorptive capacity). Il numero complessivo dei progetti finanziati è 37 (16 + 21) – dei quali quelli relativi al secondo bando sono in avvio in questo periodo – per un finanziamento complessivo di circa un milione e settecentomila euro. Considerando la natura sperimentale del Fondo di PoC ENEA, i numeri finora ottenuti, sia in termini di disclosure di linee di ricerca interne che di risposta del sistema industriale, sono molto promettenti.
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Nel nuovo e mutevole contesto economico e sociale in cui ci troviamo, il decisore pubblico non può più permettersi di allocare la maggior parte delle risorse ai diversi soggetti in maniera settoriale, ma deve inevitabilmente promuovere una logica di sistema per ottimizzare il ritorno dalle risorse investite.
Tutti i soggetti coinvolti – ricercatori e imprese, oltre alla finanza e ai fondi di Venture in particolare – devono in qualche modo sforzarsi per superare il loro modo di agire tradizionale, cercando di creare nuove modalità operative congiunte in un’ottica win-win per tutti i partecipanti al processo (collaborazioni di lungo termine, partecipazione equa di tutti i soggetti allo sfruttamento dei risultati dell’innovazione, partecipazione a progetti di sviluppo senza implicare necessariamente la creazione di start-up aziendali, …). In tal senso, ITAtech può rappresentare un interessante laboratorio cui applicare la nostra “intelligenza istituzionale” per far nascere nuovi strumenti e strategie. Sarebbe, inoltre, utile che a tali sforzi si associasse anche il mondo della politica, affrontando e risolvendo le ambiguità della legislatura italiana, ad esempio sul tema della creazione di spin-off o del “professor’s privilege”. Secondo la tua esperienza, quali sono gli elementi di criticità e i limiti più frequenti e comuni che riscontri in operazioni di Trasferimento Tecnologico? Sono tanti e tutti abbastanza noti… La criticità principale nelle operazioni di trasferimento tecnologico è la difficoltà nel conciliare gli obiettivi, le esigenze, direi addirittura il linguaggio di due universi distanti tra loro. Da un lato la ricerca pubblica ha l’obiettivo di sviluppare nuove conoscenze e tecnologie che siano alla frontiera. I nostri ricercatori sono giustamente portati a ricercare le migliori soluzioni scientificamente e tecnologicamente più sofisticate e avanzate, la cui applicazione pratica però è distante nel tempo. Le imprese hanno invece bisogno di soluzioni tecnologiche che oltre ad essere efficaci, siano anche economicamente sostenibili e di rapida se non immediata applicabilità. Se poi vogliamo parlare di aspetti più “pratici”, dal lato della ricerca pubblica abbiamo alcune rigidità soprattutto di tipo procedurale-burocratico che mal si conciliano con le esigenze delle imprese. Dall’altro lato, invece, a volte riscontriamo un atteggiamento un po’ troppo utilitaristico, volto cioè a massimizzare il vantaggio immediato senza la reale volontà di collaborare in un’ottica un po’ più strategica di medio-lungo periodo. Un’altra criticità è rappresentata dalla scarsa cultura imprenditoriale in ambito accademico e negli enti di ricerca: è fondamentale promuovere nelle università e negli enti di ricerca una maggiore cultura imprenditoriale attraverso iniziative che rafforzino la visione di un approccio incentrato sul “knowledge exchange” e spingano i ricercatori a considerare l’impatto socio-economico delle proprie ricerche anche nei termini delle effettive possibilità di successo delle nuove idee tecnologiche sul mercato. Questo non implica che i ricercatori debbano diventare necessariamente imprenditori, ma occorre dotarli di strumenti di valutazione che consentano loro di “mettersi gli occhiali da imprenditore” per valutare il potenziale di mercato delle loro attività. Infine, la carenza di incentivi ai ricercatori per rafforzare i percorsi di collaborazione con l’industria. È fondamentale a livello di singola università e/o ente di ricerca, implementare meccanismi incentivanti per i ricercatori che avviano percorsi collaborativi con il settore privato. Gli attuali meccanismi di valutazione e progressione di carriera non tengono in dovuta considerazione la cosiddetta Terza Missione della ricerca pubblica, che soprattutto nel caso di ENEA dovrebbe rappresentare il valore aggiunto del proprio contributo al sistema Paese. Vuoi aggiungere qualcosa? Fallo pure… Visto il momento che stiamo attraversando, non posso non osservare come l’importanza della ricerca scientifica non si possa (ri)scoprire solo quando siamo di fronte ad una emergenza. È quello che sta avvenendo in questi giorni di emergenza per il COVID-19. A partire dalla Commissione Europea, per arrivare ai dicasteri dei governi degli Stati coinvolti, è partita una corsa a rendere disponibili fondi per qualunque attività di ricerca che possa in qualche modo condurre a risultati in grado di contrastare la diffusione del contagio o che aiutino a controllarla, per non parlare dello sforzo richiesto a livello globale per l’individuazione di un vaccino. La ricerca scientifica, in ogni settore di interesse dell’umanità, è importante sempre, in tempo di pace o di guerra, di prosperità o carestia. Non ci si può accorgere della carenza cronica delle risorse destinate alla ricerca solo quando si è di fronte ad un nemico nuovo e sconosciuto per tentare di sconfiggere il quale l’unico esercito possibile è quello composto dallo sparuto contingente dei ricercatori, sottopagati, mal equipaggiati e molto spesso precari. Le risorse destinate alla ricerca devono finalmente essere considerate come un investimento, il cui ritorno potenziale è misurabile con l’impatto di innovazione sul sistema produttivo nazionale, in condizioni normali, ma anche con il numero di vite umane salvate, di disastri naturali evitati o controllati, nelle situazioni di emergenza. Contributor 90% below è il blog di Anna Amati, Partner EUREKA! Venture, Sgr che gestisce il fondo, Eureka! Fund I – Technology Transfer, focalizzato in startup, spin-off e progetti cosiddetti POC (Proof of concept) provenienti da una rete qualificata di centri di ricerca partner, nell’ambito dei materiali avanzati e più in generale scienza e ingegneria dei materiali. [Immagine di copertina Wes Hicks on Unsplash]
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