Creare un team di persone che hanno già altre esperienze professionali importanti dà una marcia in più Tutto il team dei fondatori di Linkedin – Reid Hoffman, Allen Blue, Konstantin Guericke, Eric Ly, Jean-Luc Vaillant – aveva già esperienze di alto livello in società attive in ambito hitech, da Paypal a Fujitsu a SocialNet. Nessuno quindi era alle prime armi. Una startup che nasce con una squadra già esperta e fornita di persone che eccellono nei propri settori di competenza parte avvantaggiata.
Avere una formazione non solo in ambito economico e informatico apre la mente Chi l’ha detto che per fare startup di successo servono solo persone con un mba in tasca e con un curriculum da sviluppatore? Tra i fondatori di Linkedin, la “mente” Reid Hoffman ha una laurea in scienze cognitive e un master in filosofia, mentre il co-fondatore Allen Blue (attuale vicepresidente di Prodotto), esperto di web design ha studiato e insegnato recitazione all’università di Stanford.
Il fondatore non è necessariamente il miglior capo. Avere la capacità di farsi da parte per lasciare spazio a ceo più efficaci è dimostrazione di lungimiranza Nel 2007, a quattro anni dalla fondazione, Reid ha lasciato la guida della società a Dan Nye, che veniva da esperienze in Intuit e in Procter&Gamble. Nel 2009 il timone passa all’attuale ceo Jeff Weiner, che ha portato Linkedin all’Ipo nel 2011 e lo ha fatto diventare il social network di riferimento per il lavoro a livello globale. C’è una bellissima lecture di Reid Hoffman nella serie “How to start a startup” in cui egli illustra agli studenti della Stanford University aspiranti startupper
come si diventa un grande founder. Fare open innovation è un’idea vincente anche per le startup: 2 miliardi di dollari spesi in acquisizioni dal 2010 in poi Il percorso di Linkedin, che si è concluso con un’exit miliardaria, è costellato da acquisizioni di altre startup. Dal 2010 in poi, ha speso circa 2 miliardi di dollari acquistando 16 società e numerosi brevetti (tra cui 4 milioni di dollari per alcune tecnologie brevettate di Digg). Nel 2012 ha comprato la piattaforma per la condivisione di slide Slideshare per 119 milioni di dollari, nel 2013 ha acquisito la piattaforma per la pubblicazione di contenuti Pulse per 90 milioni e nel 2015 la più costosa, il sistema di e-learning Lynda.com, per 1,5 miliardi. Open innovation messa in pratica con efficacia.
I crolli non significano che sei vicino alla fine, anzi A febbraio 2016 Linkedin ha subito un crollo spaventoso in Borsa perdendo in un solo giorno 10 miliardi di dollari di capitalizzazione a seguito della pubblicazione di un documento non roseo sui guadagni. C’era chi prevedeva una catastrofe per il social network. Invece, quattro mesi dopo, ha messo a segno una delle exit più di successo della storia.
Farsi amare da Google è fondamentale se hai una startup che lavora sui contenuti online Linkedin è diventata una delle primissime fonti per Google perché il motore di ricerca lo considera una piattaforma con contenuti autorevoli, di qualità e dove la discussione è sempre di alto livello visto che i topic trattati su Linkedin riguardano spesso business e lavoro. Fate una prova: se digitate un nome su Google nella maggior parte dei casi il primo risultato che trovate è quello di Linkedin.
La trasparenza è un valore Linkedin è uno dei primi big player che ha scommesso sul rendere pubblici (o parzialmente pubblici) i dati sulla carriera dei professionisti e sul percorso “biografico” delle aziende. E con il progetto Economic Graph, una mastodontica mappa con le connessioni tra le imprese di tutto il mondo, il concetto di fondo è lo stesso. La trasparenza paga, rende autorevoli, cattura l’attenzione
Nessuna ossessione per la exit Già dal 2007 si parlava di interesse da parte di NewsCorp e da altri big player, Microsoft compresa. Però, il team dei top manager ha sempre stoppato ogni discussione fin dall’inizio. “Eravamo così concentrati sul modo in cui migliorare l’ecosistema professionale che non siamo mai stati davvero interessati all’essere acquisiti da qualcuno”, diceva Hoffman nel 2011. Senza ossessione per la exit, si lavora meglio probabilmente. E magari si finisce proprio a fare exit. Pubblicato originariamente su
EconomyUp.