Come preparare la tua startup alla exit

Le startup spesso guardano alle operazioni di exit come ad una fase a sé stante nella vita dell’azienda, senza realizzare che le caratteristiche che rendono una società appetibile sono costruite, nella maggioranza dei casi, fin dalla sua costituzione. Spesso le operazioni di exit sono di tipo “industriale”, ossia situazioni in cui l’acquirente è una società concorrente o un operatore del medesimo settore che intende aggredire un nuovo mercato. Nel complesso, questo tipo di operazione segue logiche diverse rispetto all’investimento fatto da Venture Capitalist o business angel, in quanto gli investitori “finanziari” partecipano agli aumenti di capitale in quote solitamente minoritarie.

Ma cosa rende una startup pronta per realizzare una buona exit?

Le variabili sono tantissime, ma l’esperienza maturata negli ultimi anni mi ha insegnato che sono 5 le caratteristiche che valorizzano maggiormente i progetti: un managemet team legato all’azienda, un adeguata tutela della proprietà intellettuale, la gestione delle clausole di non concorrenza e riservatezza, un Ebitda positivo e non avere fatto molti aumenti di capitale. In particolare, le startup che raggiungono più facilmente una exit industriale sono quelle che hanno sostenuto la crescita ricorrendo a finanziamenti e agevolazioni senza far eccessivo ricorso ad aumenti di capitale, salvo nella primissima fase di vita. Ciò consente ai founder e ai primi investitori di non diluirsi e avere quindi un maggior ritorno in fase di exit, con cap table e diritti particolari limitati. Aumenti di capitale continui a valutazioni sempre più elevate comportano in genere un valore atteso dai soci disallineato con la realtà del mercato. Esistono diverse tipologie di operazioni di acquisizione, ma solitamente le “exit” riguardano la cessione di almeno il pacchetto di controllo della società. Le operazioni di acquisizione, in caso di cessioni parziali, sono più complesse da gestire in merito agli accordi sulla governance; i diritti particolari che i soci di minoranza conserveranno rappresentano il cuore del valore delle quote stesse. Le operazioni di cessioni totalitarie rappresentano una sfida diversa, incentrata sui temi relativi alla retention delle persone chiave e alla non concorrenza dei soci uscenti, entrambi temi centrali per garantire il mantenimento del valore dell’azienda acquisita. L’acquirente tende a tutelare il proprio investimento con un pagamento del prezzo rateizzato, vincolato al raggiungimento di determinati risultati. Quest’ultimi devono essere ben determinati, garantendo il necessario controllo delle attività post closing. Spesso, quindi, si negoziano in modo preciso anche contratti, ruoli e responsabilità delle persone chiave che continueranno a lavorare in azienda. Nelle operazioni di M&A solitamente entrano in gioco figure esperte che affiancano i consulenti tradizionali, sia in ambito legale che sotto il profilo strategico e finanziario. Tra le attività del consulente strategico finanziario c’è il coordinamento della fase di due diligence, in quanto rispondere in modo tempestivo, corretto e coerente a tutte le richieste è essenziale per la buona riuscita dell’operazione. Si deve evitare infatti di far emergere rischi specifici che possono dare origine e clausole di garanzie anche molto significative, valutando la risoluzione a monte della criticità. Altra attività chiave, sarà quella di portare avanti le trattative in merito alle clausole di natura finanziaria (ad esempio il conteggio della PFN, gli aggiustamenti e normalizzazioni, la definizione dei valori sui quali si basano le valutazioni, le franchigie per le garanzie e le responsabilità ecc.). La fase delle trattative tra le parti può essere molto faticosa, in quanto, anche se è stato stabilito il prezzo, sono tantissimi i temi negoziali che spostano il valore dell’operazione, e, a volte, gli obiettivi dei soci non sono allineati tra di loro. Per tutte queste ragioni è essenziale individuare i reali interessi di ciascun socio e definire, prima ancora che con l’acquirente, il taglio da dare all’operazione. Solo in questo modo si riuscirà a portare avanti in modo proficuo la trattativa con la controparte. Le trattive dovrebbero avere sempre come primo interesse il buon esito del deal, che solitamente prevede delle previsioni bilanciate ed eque senza che alcuna delle parti forzi la mano. Questo non vuol dire che il consulente non debba fare gli interessi del proprio cliente, ma che deve tenere sempre a mente gli interessi prioritari delle parti e svolgere un ruolo chiave nel permettere una risoluzione delle eventuali prese di posizione su determinati temi. Gli irrigidimenti e i no assoluti devono essere riservate ai soli temi ritenuti essenziali per l’accordo, senza i quali le parti sono disposte a rinunciare all’operazione. In sintesi, nella fase di negoziazione non si devono mai perdere di vista gli obiettivi e la visione di insieme, evitando di focalizzarsi sul “vincere” ogni singola battaglia e sul farne una questione di principio. Autore: Stefania Esposito, Founder e COO Blue Ocean Finance   Photo by Jude Beck on Unsplash

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