La Cina dell’innovazione sempre più forte

Nelle scorse due settimane abbiamo visto lo scenario delle startup in Italia prima e in Europa poi, questa settimana andiamo a vedere la Cina dell’innovazione. Il ruolo del Paese asiatico nell’ambito degli equilibri globali, e non solo sul fronte startup, è destinato a essere sempre più forte, a maggior ragione se l’attuale amministrazione statunitense continuerà nel volere applicare politiche protezionistiche e a ritirarsi dagli accordi di collaborazione internazionale come recentemente accaduto proprio con l’accordo trans-pacifico TPP. Tech Silu, organizzazione che ha la missione di avvicinare le startup italiane all’ecosistema e agli investitori cinesi  ha recentemente tenuto un workshop a Milano durante il quale sono stati illustrati i dati e le caratteristiche dell’ecosistema cinese. Francesco Lorenzini, uno dei fondatori di Tech Silu che vive stabilmente a Pechino, pone l’accento sul fatto che in Cina vi sono alcuni elementi che stanno contribuendo ad accelerare il processo di innovazione delle imprese: la forte presenza di iniziative governative, la grandezza del mercato interno, il processo di trasformazione verso l’economia di mercato, l’abbondanza di capitali. Quattro elementi che fanno della Cina la terra ideale per chiunque abbia un business da fare cresce in modo scalabile, considerazione questa supportata da un’altra serie di dati e di elementi che Lorenzini mette in luce: la Cina è il secondo Paese al mondo con il PIL maggiore e registra una crescita annuale di circa il 7%, la popolazione è quattro volte quella della UE e degli Usa e la metà vive nelle aree rurali, l’innovazione disruptive non è molto diffusa e gli imprenditori cinesi tendono a clonare i modelli di business delle startup occidentali, la capacità manifatturiera è elevata ma la qualità e l’efficienza sono ampiamente migliorabili. E ancora: una startup riesce a scalare a livelli sostanziali in 3,5 anni contro i 5,8 anni che impiega mediamente una startup negli Usa per arrivare al medesimo livello di crescita, poco meno del 25% delle unicorn globali sono cinesi, si registra un ampia adozione di nuove tecnologie, per esempio oggi circa 530 milioni di cinesi hanno uno smartphone e si stima saranno 700 milioni nel 2020. Benché il concetto di clonazione dei modelli di business sia un fatto, è anche però vero che esso va considerato come punto di partenza e non di arrivo e ciò si traduce nella volontà e nella spinta di voglia di nuova innovazione e già, per esempio, nel 2016 si sono registrate oltre un milione di richieste di registrazione di brevetti e il governo stesso ha dichiarato che entro il 2020 la Cina deve diventare una delle nazioni leader nello sviluppo di innovazione indicando anche che il binomio innovazione e imprenditorialità è fondamentale per la strategia di sviluppo nazionale a sostegno del rinnovamento del tessuto economico.

Shanghai

A tal proposito sono stati avviati due programmi denominati ‘Made in China 2025’ destinato allo sviluppo dell’innovazione nell’ambito manifatturiero e ‘Indigenous Innovation’, un piano a quindici anni dedicato interamente alle tecnologie avanzate che fa perno su investimenti in ricerca e sviluppo, proprietà intellettuale, apertura al mercato cinese da parte di aziende occidentali che desiderano condividere le loro tecnologie. In Cina vi sono oggi duemila incubatori e acceleratori (di cui il 28% statali, il 23% privati, il 17% accademici e il restante a carattere misto), saranno cinquemila entro il 2020, 115 parchi scientifici universitari, 60 parchi scientifici e tecnologici industriali, mille venture capital. La maggiore concentrazione di queste realtà è nell’area di Pechino che si pone in modo deciso come capitale dell’innovazione del Paese (anche grazie al progetto InnoWay ). Questa strategia ha già iniziato a produrre i primi risultati, sono quattro i decacorni nati in Cina: Xiaomi, Didi Kuadi, China internet +, Lufax e a loro si aggiungono altri 35 unicorni come DJI, Zhong An, Ucar, Meizu, Ele.me, Soguo. Secondo i dati di CB Insights nel 2016 sono stati investiti in Cina oltre 45 miliardi di dollari in venture capital con una crescita di oltre l’8% rispetto all’anno precedente e un numero di deal pari a 600, ma l’elemento che più ha caratterizzato l’andamento degli investimenti in startup in Cina è stata la crescita dei round di tipo Series C con un valore compreso tra i 60 e i 90 milioni di dollari per deal, questi round rappresentano oggi il 16% del totale mentre la parte maggiore: 32% e 33% rispettivamente la fanno i round Series A (15-40 milioni) e Series B (25-80 milioni). I settori industriali maggiormente finanziati sono quello legati a internet, al mobile, all’healthcare, al greentech, mentre i venture capital maggiormente attivi sono Tencent Holdings, IDG Capital Partners, Matrix Partners China, Sequoia Capital China, Baidu, ZhenFund, Legend Capital, Morningside Ventures, SAIF Partners, Shunwei Capital Partners, Alibaba Group, Fortune Venture Capital, GGV Capital, Redpoint Ventures, Trustbridge Partners.
start up fintech

Il team di Ant Financial

A Pechino si sono registrati 31 deal per un totale di 1,9 miliardi di dollari, a Shanghai 20 deal per un valore complessivo di quasi 610 milioni di dollari e ad Hangzhou 4 deal per 127 milioni di dollari. I tre deal principali sono stati quello di Didi Chuxing da 7,3 miliardi di dollari, società che ad agosto ha comprato Uber China, quello di Ant Financial (di cui abbiamo scritto qui) da 4,5 miliardi di dollari supportato da Alipay con China Investment Corporation e China Post Group e quello di Maituan-Dianping da 3,3 miliardi di dollari fatto da Tencent, DST Global e Temasek. Gli esperti di Tech Silu mettono inoltre in evidenza alcuni elementi che aiutano a completare il quadro e a mettere meglio a fuoco l’ecosistema cinese delle startup e delle imprese innovative. Cresce l’attenzione sia da parte dei VC sia da parte delle imprese cinesi verso le startup di tutto il mondo, si registrano già casi di investimento e di acquisizione di startup israeliane, britanniche, canadesi e i venture capital sono spinti verso lo scenario globale anche dagli incentivi governativi volti a sostenere la trasformazione dell’economia del Paese verso l’innovazione e la tecnologia. Crescono gli investimenti venture capital di origine corporate benché mediamente i vc cinesi appaiono ancora più prudenti rispetto a quelli occidentali, cosa che si traduce in tempi di gestione e chiusura dei deal che risultano essere più lunghi, ma secondo gli osservatori è un limite che presto verrà superato perché il cambiamento culturale è in atto proprio in questi mesi e ciò porterà a una crescita significativa sia della maturazione dell’ecosistema sia del ruolo sullo scenario internazionale. La strategia della Cina è quindi chiara: accrescere la sua capacità di produrre innovazione tecnologica sia attraverso investimenti diretti, sia facendo leva sugli investitori aiutandoli a divenire sempre più globali e quindi a fare scouting in tutto il mondo di startup interessanti. Ciò avviene simultaneamente alla decisione di molte imprese americane ed europee di riportare verso i loro rispettivi Paesi di origine le produzioni manifatturiere che erano state delocalizzate in Cina nei decenni precedenti, due fenomeni che indicano in modo netto come la Cina abbia tutte le intenzioni di proporsi come nuovo campione globale dell’innovazione e della generazione di imprese innovative, rinnovando così profondamente sia il suo tessuto economico e sociale, sia il suo ruolo nel contesto planetario. @emilabirascid

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