Censura, luddismo, ignoranza o normale richiesta di rispetto delle normative in vigore? L’azione del garante della privacy italiano contro ChatGPT ha scosso gli animi di molti, compresi, naturalmente di coloro che si occupano di innovazione, che fanno startup, che guardano al futuro e alle evoluzioni tecnologiche con entusiasmo. Cerchiamo di mettere un po’ d’ordine. Intanto va ricordato che OpenAI, la società che realizza e gestisce ChatGPT e GPT 4 ha come primo azionista Microsoft la quale non solo ha investito 10 miliardi di dollari ma ha anche iniziato a integrare le funzionalità della intelligenza artificiale generativa nei suoi prodotti come il motore di ricerca Bing che non è mai riuscito fino a ora a imporsi sull’esponenzialmente più diffuso motore di Google, e come la suite di applicazioni Office che, salvo miglioramenti incrementali, è sostanzialmente la stessa da molto tempo. Ci sono poi gli schieramenti: da un lato coloro che vedono questa mossa del garante per la privacy italiano come un’azione degna di un Paese che ha preso derive autoritarie e motivata più dal timore di non sapere governare qualcosa che non si comprende (magari influenzati anche dalla lettera che tantissimi esponenti della Silicon Valley hanno firmato e pubblicato qualche giorno prima per invitare il mondo a sospendere per almeno sei mesi le attività riguardati l’AI generativa e riflettere su come il suo sviluppo deve proseguire) che non dall’effettivo desiderio di tutelare utenti e cittadini. Dall’altro lato invece coloro che dicono che il provvedimento emanato il 30 marzo non è azione contro le nuove tecnologie ma una normale richiesta di rispetto delle normative sulla privacy in vigore in Italia e si sostiene che sia stato un errore da parte di OpenAI di rendere impossibile l’accesso al suo servizio da parte degli utenti italiani, compresi quelli paganti del servizio premium, quando aveva tempo per adeguarsi alla normativa e trovare una soluzione che non fosse così draconiana (in questa intervista fatta dal sempre attento e puntuale Matteo Flora a Guido Scorza componente del Collegio del Garante per la protezione dei dati personali, emerge in modo chiaro la posizione del garante e le ragioni che stanno alla base del provvedimento). Ci sono coloro che fanno innovazione, che fanno startup che ritengono questo avvenimento un danno non solo per la loro attività quotidiana, in molti usano ChatGPT quale strumento di lavoro quotidiano, ma anche per il Paese, per la sua reputazione, per la sua capacità di abbracciare l’innovazione e non in pochi sono corsi a fare un parallelo con l’altra notizia che solo pochi giorni prima aveva scosso gli animi ponendo enfasi sulla fatica che il Paese fa ad accogliere l’innovazione: quella che vieta la cosiddetta ‘carne sintetica’ e qui, come ha puntualizzato Peter Kruger in veste di chairman di Agrifood-tech Italia, si dovrebbe parlare di ‘carne coltivata’ e si invita il governo a nuove riflessioni in merito. E coloro che invece ritengono assolutamente corretta l’azione del garante italiano ponendo l’attenzione sul fatto che il provvedimento non è anti-tecnologico o anti-innovativo perché nel momento in cui ChatGPT si mostra compatibile con la normativa sulla privacy può tornare a operare nel pieno delle sue funzionalità e sul fatto che è stata OpenAI a decidere le repentina chiusura in quanto il provvedimento gli chiedeva di adeguarsi, non di chiudere anche se temporaneamente. Come sempre la verità sembra stare nel mezzo, un approccio più collaborativo sarebbe stata la soluzione più intelligente per tutti: per l’autorità italiana che ha giustamente a cuore la tutela dei cittadini (nel provvedimento si fa riferimento non solo alla privacy ma anche alla necessità di proteggere gli utenti più giovani, quelli sotto i 13 anni di età) ma che sarebbe giusto considerasse tutte le istanze e il contesto con una visione più generale, e anche per OpenAI che non si sarebbe messa nella posizione di scontro facendo un torto ai suoi utenti e rischiando ulteriori conseguenze perché è tutt’altro che escluso che altri Paesi, soprattutto quelli della UE che adottano il GDPR come l’Italia – e qui una presa di posizione della UE sarebbe stata più che opportuna benché le decisioni le devono prendere le autorità nazionali, un segnale da Bruxelles sul tema avrebbe dato maggiore forza alla portata della questione e magari avrebbe fatto proprio quel lavoro di negoziazione che serviva – , possano agire anche loro sulla linea tracciata dal garante nazionale creando così un effetto a catena capace di tradursi in una situazione di forte imbarazzo e di danno reputazionale per OpenAI e per Microsoft. Vedremo nelle prossime ore quali saranno le conseguenze di questa azione che intanto ha già creato due effetti immediati, oltre alle prese di posizione di una parte e dell’altra: una visibilità mediatica globale perché del provvedimento italiano hanno parlato i media di tutto il mondo (qui per esempio il Financial Times e la CNN ) e il moltiplicarsi di modalità che consentono di aggirare, legalmente, il blocco che OpenAI ha imposto agli utenti che si trovano in Italia.
Aggirare il divieto
Come fare quindi per continuare a usare ChatGPT anche in questo momento in cui il blocco per gli utenti che si collegano con un IP italiano è attivo? La soluzione più immediata è quella di usare una VPN, uno di quei software che consentono di fare finta che si è connessi da un altro Paese, software che sono disponibili anche gratuitamente, è per esempio il caso di ProtonVPN , e in alcuni casi perfino integrati direttamente nei browser (qui va però ricordato che queste VPN, soprattutto se gratuite, tendono anch’esse a raccogliere dati degli utenti che le utilizzano). C’è poi il playground di ChatGPT stessa che non è soggetto alle limitazioni ma che consente di accedere alle risorse dell’AI e infine ogni altro servizio basato sull’utilizzo delle API di ChatGPT come quello andato online nelle scorse ore che si chiama PizzaGPT .
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