Per Buzzoole è arrivato quel momento tanto sudato e atteso per una startup digitale: quello del lancio della beta pubblica, ovvero del lancio ufficiale urbi et orbi della piattaforma bella pulita e della propria offerta commerciale messa a punto. Testata già con clienti significativi: MSC Cruises, MailUp, Iveco, RedBull e Ferrero.
Insomma, fanno sul serio.
A onor del vero, tra gli i seguaci del digitale e delle startup, Buzzoole (Influence Engine Optimisation platform) non è una perfetta sconosciuta e non ha fatto la sua beta privata proprio in sordina, suscitando a ogni suo passo in avanti molti consensi anche sui media di settore. E’ sufficiente googlare “Buzzoole” per vedere cosa viene fuori. Anche noi di Startubusiness l’abbiamo seguita sempre con grande interesse: quando ha ottenuto il seed da 56Cube di Digital Magics, quando ha lanciato Finder, quando ha cominciato a farsi conoscere; l’abbiamo portata a Smau nel 2012 e nel 2011, quando Buzzoole era appena un’idea, un intraprendente Fabrizio Perrone (uno dei founder e attuale Ceo) fece da inviato speciale di Startupbusiness al primo Pioneers Festival di Vienna.
Buzzoole coglie tutte le occasioni di contest e competizioni per farsi conoscere e mettersi in luce, è intrinsecamente social perchè il suo business è il social, ovvero come monetizzare con i social e con la social influence. I brand (e le agenzie) hanno con Buzzoole l’opportunità di fare pr online in modo molto efficace, secondo quanto riporta la società, in particolare con tre strumenti; campagne, contest, il Finder, un potente motore di ricerca degli influencer capace di analizzare i profili e le attività di oltre 2 miliardi di utenti sociali. Il Finder è chiaramente lo strumento che ottimizza anche i servizi di contest e campaign.
La prima cosa che mi piace di Buzzoole è che ha una tecnologia “agnostica”. Mentre tra gli abitanti della rete, i social addict, i marketer si discute se sia giusto o meno sfruttare l’influenza in rete come canale di advertising, se c’è orrore in qualcuno al solo pensiero che nello stream twitter di un influencer possa celarsi un native adv, se può spaventare ciò che alcuni chiamano “the next chapter of sociale media”, Buzzoole si ritaglia il suo spazio di manovra creando un motore di ricerca molto potente che permette ai brand di scovare gli influencer in diversi settori, ingaggiarli e misurare i risultati. Buzzoole non si pone il problema se sia giusto o meno che un influencer posti tutti giorni una bella foto via Instagram mentre si lava i denti con il dentifricio preferito e sponsoired, ma se c’è gente che vuole farlo (è lecito) Buzzoole offre uno dei più potenti strumenti sulla piazza per identificarlo e misurarne l’influenza in rete, rispetto a un certo contesto.
La seconda cosa che mi piace di Buzzoole è la democratizzazione del panorama “influencer” che propone: il suo claim “be social, be valuable” non è rivolto ai brand, ma è rivolto agli eserciti di social addict che popolano la rete e che sono potenziali o inconsapevoli influencer. Buzzoole si propone a loro come uno strumento per capire il proprio posizionamento, incrementarlo e se si vuole, monetizzarlo, diventando brand ambassador.
“Siamo davvero soddisfatti del lavoro svolto fin’ora. – ha dichiarato Fabrizio Perrone, Ceo – Abbiamo impiegato oltre 6 mesi per raggiungere quello che per noi è un altro piccolo step verso il nostro obiettivo che è quello di rivoluzionare l’industria delle pr rendendolo accessibile per la prima volta anche alle piccole e medie imprese. Con noi tutti hanno una chance di migliorare il proprio personal branding e di essere coinvolti per diventare brand ambassador”.
Certo Buzzoole non è sola nel mare in cui si muove, a partire da Mobio che monetizza la social influence delle celebrità (anche di modesta portata, ma con discreto numero di follower) fino a Klout, goviral e mylikes.
“Quello che ci differenzia dai competitor – dice Fabrizio – riteniamo che sia prima di tutto la nostra tecnologia, che è davvero molto evoluta (algoritmi proprietari, ndr), ma anche il nostro approccio al mercato. Alcuni dei nostri competitor hanno un approccio di tipo consulenziale, altri non hanno uno strumento come il nostro Finder, altri ancora hanno un modello che funziona solo con grandi brand in grado di pagare campagne di una certa entità. Noi abbiamo scelto un approccio verticale e scalabile, in cui anche un modesto brand con limitate capacità di spesa possa ingaggiare il social influencer. Inoltre, abbiamo un asso nella manica nel servizio “self-service” attraverso il quale, proprio come succede per Google Adwords o Facebook Ads, chi è interessato a fare una campagna coinvolgendo gli influencer può farlo direttamente dalla piattaforma e in modo estremamente semplice e immediato, con budget piccoli”.
© RIPRODUZIONE RISERVATA