Quale migliore occasione, per questo blog, di cominciare il 2021 intervistando Anna Tampieri, neo Presidente di ENEA Tech, Direttore di ISTEC-CNR di Faenza, ricercatrice con un cv incredibile ricco di riconoscimenti e di esperienza unica nel Technology Transfer? Se posso fare un augurio al nostro Paese per il nuovo anno, auguro che Anna possa essere presa ad esempio da tanti ricercatori affinchè il 90% del valore sommerso della nostra Ricerca possa venire a galla e contribuire a migliorare la qualità della vita di tutti noi! Anna, come potrai immaginare, non posso non iniziare questa conversazione partendo dal citare il tuo nuovo incarico quale Presidente di ENEA Tech, il più grande Fondo di TT mai esistito in Italia! Ci vuoi raccontare il valore di questa iniziativa per te e per il nostro Paese?
Avere assunto la carica di Presidente di Enea Tech è un evento che mi ha fatto un immenso piacere, perché, come sai, nella mia carriera accademica ho sempre tenuto un atteggiamento un pò “ fuori dal coro” avendo un occhio di riguardo per il trasferimento tecnologico e dedicando molto tempo anche alla valorizzazione della ricerca, quindi quando il Ministro dello Sviluppo Economico mi ha chiamato e mi ha chiesto se avessi voluto partecipare a questo nuovo progetto ho capito che per me si apriva una nuova fase e avrei avuto l’opportunità di approfondire quegli aspetti e quelle conoscenze che durante la mia carriera accademica ( se non altro per mancanza di tempo, opportunità e adeguata formazione ) non avevo potuto approfondire come avrei voluto. Per quanto riguarda Enea Tech questa nuova avventura si prefigge di finanziare e di supportare tutti i progetti di grande valore strategico per il nostro Paese quindi rappresenta una un’assoluta innovazione sia per come è strutturata: una struttura molto agile, ideata da Salvo Mizzi sul modello americano DARPA, capace di intervenire sulle iniziative di piccolo taglio come spin off e start-up ma anche di potere finanziare grandi progetti di impatto strategico, intervenendo con modalità dirette; sia per il team che la fondazione è riuscita ad aggregare, fatto di giovani molto brillanti con esperienza internazionale su attività di tech transfer nei diversi temi di impatto strategico. In questo contesto la mia figura, sia per anzianità che formazione, si profila come un ponte tra due mondi che avrebbero dovuto compenetrarsi, mentre fino ad oggi hanno viaggiato su vie parallele con insufficienti punti di intersezione e sinergia. Non è la prima volta che parliamo della nostra visione sulla valorizzazione dei risultati della ricerca scientifica e sugli elementi di criticità che non hanno permesso al nostro Paese di creare il valore che ci si sarebbe potuto aspettare. Mi piacerebbe che tu potessi condividere anche con chi legge il tuo pensiero sulla dicotomia “ricerca di base-ricerca applicata” che ho trovato sempre, personalmente, illuminante! La mia carriera da ricercatore è stata caratterizzata dal coordinamento di grandi consorzi internazionali nell’ambito di progetti europei dove il lavoro è scandito da obiettivi molto definiti che devono essere raggiunti con tempistiche altrettanto chiare e concatenate all’evolversi del progetto e al suo risultato finale: tutto ciò ha le caratteristiche di una ricerca finalizzata dove tutte le attività vengono svolte in modo interdisciplinare per soddisfare alcuni requisiti e specifiche definiti all’inizio del progetto stesso, ma è proprio lungo questo cammino che (diversamente da quanto emerge dalla definizione) si genera una grande quantità di ricerca di base che, da un lato, illumina il cammino della ricerca finalizzata, e dall’altro apre nuove aree self consistent e profila orizzonti prima non immaginabili. Detto questo io non credo alla ricerca di base come una entità separata dalla ricerca finalizzata o applicata anche perché ritengo che l’estremizzazione di questo concetto insieme a quello della ricerca curiosity driven abbia come pericoloso effetto collaterale quello di materializzare sempre più nell’immaginario collettivo la figura di un ricercatore che ha scarsi contatti con la realtà e che con il suo incedere in mezzo alle nuvole raramente produce qualcosa di utile per la nostra società. Sono sempre più convinta che uno dei principali compiti del ricercatore sia dimostrare che la Ricerca è un bene insostituibile per il proprio Paese e che il connubio ricerca di base-ricerca applicata sia il mezzo sicuro per rispondere con saggezza ai bisogni della nostra società producendo vera innovazione e non solo per alzare gli indici bibliometrici di chi persegue una carriera accademica. Generare innovazione vera comporta mediamente perseguire un tipo di ricerca cutting edge e quindi richiede un impegno molto più gravoso per il ricercatore rispetto alla produzione derivante dalla sola ricerca incrementale e credo che proprio di questo abbia bisogno il nostro Paese che con nuovi strumenti come Enea Tech può cavalcare l’innovazione per riposizionarsi a livello dei Paesi europei più avanzati. Ci siamo conosciute, tanti anni fa, grazie alla ricerca di eccellenza che svolgi nel tuo Istituto CNR-Istec di Faenza e alla tua capacità di immaginare l’applicazione dei risultati ottenuti da questa ricerca. Ci vuoi raccontare l’esperienza GreenBone e cosa ti ha insegnato? Le mie precedenti affermazioni trovano un esempio concreto nel progetto GreenBone così come in altri che insieme al mio gruppo di ricerca abbiamo portato dal banco di laboratorio fino al letto del paziente. GreenBone è nato da un progetto europeo di tanti anni prima dove avevamo avuto questa idea assolutamente originale partendo però da un bisogno clinico non corrisposto e cioè avere impianti completamente riassorbibili e bioattivi per rigenerare ossa lunghe portanti carico quindi braccia e gambe. Questo obiettivo si è subito scontrato con delle limitazioni tecnologiche cioè con il fatto di non essere in grado di mimare, al di là della composizione chimica, una struttura complessa gerarchicamente organizzata dalla nano alla macro scala com’è il tessuto osseo e con caratteristiche meccaniche così performanti. L’idea originale è stata quella di rivolgersi alla natura e di sfruttare strutture simili esistenti nel mondo vegetale: nelle piante infatti il fusto ha le stesse funzioni del nostro scheletro quindi abbiamo trovato una mimetismo perfetto nel RATTAN che è una pianta della famiglia dei bambù , la cui complessa struttura ricalca perfettamente la struttura osteonica dell’osso e a questo punto abbiamo attivato un processo estremamente innovativo di reazioni chimiche eterogenee a cascata in condizioni supercritiche per trasformare questo legno che pur mantenendo la sua complessa struttura viene però trasformato chimicamente nella stessa fase minerale che costituisce il 70% del nostro tessuto osseo. Fino a questo punto l’ingegno e l’impegno dei ricercatori bastavano, ma poi tutto il gruppo di ricerca ha dovuto intraprendere corsi di formazione e si è dovuto impegnare su un terreno sconosciuto e molto insidioso che era quello necessario per portare il dispositivo fino alla sua validazione prima attraverso test su animale e poi con primi test clinici fino al conseguimento del marchio CE. Questa esperienza è stata estremamente gratificante per tutto il gruppo di ricerca che ha potuto verificare di persona i risultati di una ricerca innovativa e soprattutto responsabile e ancora oggi continua a seguire e supportare la start-up che ha chiuso recentemente il suo secondo round di investimento per un totale di 23 milioni di euro dando origine nei fatti a quel circolo virtuoso pubblico-privato tanto decantato ma poche volte raggiunto con eguale vantaggio per il pubblico così come per il privato . Quali sono, a tuo avviso, le priorità che ci troveremo a dover affrontare nei prossimi anni e cosa pensi manchi oggi per far accadere le “cose” che ancora fanno fatica ad accadere? Per quanto riguarda che cosa ci troveremo ad affrontare nei prossimi anni penso che il settore della SALUTE continuerà a svolgere un ruolo dominante e strategico per la nostra società, e questa pandemia ce ne dà un esempio esplicativo, ma accanto a questo prenderà sempre più importanza il tema GREEN ECONOMY con i concetti del recycling e della sostenibilità; lo studio dei materiali a partire da materie seconde con un approccio molto più ecosostenibile sia nei confronti delle materie prime ormai in via di esaurimento , che dei processi di trasformazione, sarà uno dei temi dominanti per gli anni a venire avendo un impatto determinante anche sul grande tema del CLIMATE CHANGE. Per concludere è necessario riaccendere l’entusiasmo nei cuori dei giovani ricercatori riconoscendo il lavoro di ricerca come un mattone essenziale nella costruzione del progresso che, d’altro canto, mai come oggi può avere luogo grazie all’azione congiunta e illuminata di strutture come Enea Tech. Contributor 90% below è il blog di Anna Amati, Partner EUREKA! Venture Sgr che gestisce il fondo, Eureka! Fund I – Technology Transfer, focalizzato in startup, spin-off e progetti cosiddetti POC (Proof of concept) provenienti da una rete qualificata di centri di ricerca partner, nell’ambito dei materiali avanzati e più in generale scienza e ingegneria dei materiali. Foto di copertina: ThisisEngineering RAEng on Unsplash© RIPRODUZIONE RISERVATA