Alberto, amico mio

Era il 18 aprile del 2002 a Milano. Il trauma globale di quanto avvenuto pochi mesi prima a New York e Washington era ancora vivo negli animi di tutti. Quel giorno un piccolo velivolo si schiantò sul grattacielo Pirelli uccidendo tre persone e ferendone 70. Quel giorno eravamo là sotto, Alberto, io e gli altri redattori di Zdnet Italia. Avevamo la redazione in una traversa di piazza Repubblica al piano strada, con le vetrine che si affacciavano sul marciapiede, come fossimo un negozio. Quel giorno di aprile le vetrine tremarono, un forte botto riempì l’aria. Dopo i primi momenti si capì che un velivolo si era schiantato contro il grattacielo, allora più alto di Milano e d’Italia. 

Lavoravamo per una testata che si occupava di tecnologia Alberto era il direttore, il mio direttore e ogni tanto dopo tanti anni quando ci incrociavamo mi piaceva continuare a chiamarlo direttore e lui mi guardava come a dirmi ‘sì Emil dai basta con sta storia del direttore’ ma in fondo, lo so, un po’ gli piaceva e anche a me. Era un piccolo gioco. 
Quel giorno benché la nostra testata tutto trattava tranne che di cronaca non ci pensammo un attimo, corremmo sul luogo del disastro, vivemmo il dramma in tutta la sua pienezza, i vetri rotti che coprivano l’intera piazza Duca d’Aosta, sirene impazzite, traffico in tilt, centinaia di persone attonite, incredule, terrorizzate. Arrivammo prima di molti, delle televisioni, degli inviati dei grandi giornali, eravamo lì sulla notizia, sul posto, per primi o quasi. 
Quel giorno fu il giorno in cui benché attoniti di fronte alla tragedia e ancora ignari di quanto essa fosse grave facemmo i giornalisti di cronaca, scrivemmo l’articolo, facemmo le foto e pubblicammo tutto sul sito, anche in inglese perché la nostra testata faceva parte di un network internazionale e proprio quel network rimbalzò il nostro articolo in tutto il mondo. Non ricordo se l’articolo fu firmato da Alberto o dalla redazione tutta ma fu lui a scriverlo, fu lui a organizzare il lavoro della redazione preoccupandosi sì di avere la notizia ma anche dell’incolumità dei suoi giornalisti. 
Quella tragedia di 12 anni fa è il filo che porta alla tragedia di oggi quando Alberto, all’improvviso, è morto. Come sempre accade queste notizie ti arrivano in modo rocambolesco, sui social appaiono in un crescente susseguirsi i messaggi di condoglianze ma ancora non ci vuoi credere, ancora aspetti che qualcuno più vicino ad Alberto ti faccia sapere come stanno veramente le cose. Poi anche quella speranza si spegne. Alberto è morto a 49 anni.
Alberto era un giornalista diventato poi, come un po’ tutti quelli che hanno vissuto l’avvento di internet e la trasformazione del settore, anche imprenditore. Oggi trovate decine di articoli che raccontano chi era e che cosa ha fatto, come ha vissuto e come è morto, io ricordo l’amico che un giorno affacciandomi dal terrazzino di una casa in Sardegna vidi inaspettatamente passeggiare nel giardino sottostante, l’amico che un altro giorno venne a casa con la sua figliola che ha l’età della mia stavamo insieme imparando a fare i papà, lo ricordo una sera ci siamo trovati davanti a una birra a raccontarci le storie delle nostre vite perché entrambi sapevamo che solo conoscendo la storia di una persona impari a conoscerla veramente. 
Ora la storia di Alberto è giunta a conclusione, un po’ troppo all’improvviso e soprattutto un po’ troppo presto ma di lui mi restano franchezza, risate, battute idiote, birre, discoteca del campeggio, il suo piacere di vivere a Lambrate, la cena libanese con tanti amici, il suo essere genovese, città a cui sono legato per molti motivi. 
grazie Alberto di essere passato. Ci si rivede alla fine del film.

 

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