Accordo d’investimento, come gestire la negoziazione (parte 1)

La mancanza in Italia di standard contrattuali per operazioni di venture capital comporta che ogni investitore si avvalga di modelli propri e che le negoziazioni si articolino in maniera differente a seconda della tipologia di investitori coinvolti e delle caratteristiche/dimensioni dell’investimento. Sarebbe auspicabile che il mercato italiano si evolvesse e si confrontasse con i trend dei mercati più maturi come quello americano ed inglese o anche quello israeliano, adottando modelli contrattuali uniformi almeno per la realizzazione di investimenti nella fase early stage. Questo aiuterebbe a velocizzare il processo di negoziazione e faciliterebbe la conclusione di operazioni, soprattutto negli stadi iniziali di sviluppo di una startup, incrementandone esponenzialmente il numero. In attesa di questo (tanto atteso) cambiamento, è necessario e doveroso aiutare i founder e gli investitori a semplificare la negoziazione e redazione della documentazione contrattuale di supporto alle operazioni di investimento. La negoziazione di un accordo di investimento costituisce una fase delicata che spesso è sottovalutata dai founder delle startup o comunque non sempre è affrontata con la dovuta attenzione e preparazione. Questo scritto intende fornire ai founder consigli pratici su alcune dinamiche negoziali, nonché su come affrontare talune questioni, stabilendo le effettive priorità. Seguirà un altro articolo per affrontare altre questioni ricorrenti nelle negoziazioni tra founder ed investitori. Talune discussioni potrebbero essere evitate se le parti coinvolte dedicassero un po’ di tempo a prepararsi per la negoziazione, anticipando le esigenze della controparte, documentandosi su precedenti operazioni chiuse dalla controparte, acquisendo informazioni sui trend di mercato ed interrogandosi sulle questioni critiche e sostanziali che potrebbero costituire punti di rottura della negoziazione. Se tali attività fossero effettivamente poste in essere, molte operazioni di venture capital potrebbero chiudersi più agevolmente e rapidamente. Facciamo alcuni esempi concreti. CORPORATE GOVERNANCE DELLA STARTUP In materia di corporate governance è piuttosto usuale che l’investitore, anche nel caso in cui intenda acquisire una partecipazione di minoranza, chieda di poter disporre di strumenti di controllo della gestione della società target. In particolare, è frequente che l’investitore chieda che gli sia riconosciuto (i) il diritto di nominare almeno un membro del consiglio di amministrazione; (ii) il diritto di nominare almeno un membro dell’organo di controllo (es. sindaci, società di revisione); (iii) il potere di condizionare l’assunzione di decisioni su talune materie riservate alla competenza dell’assemblea o del consiglio di amministrazione mediante la previsione di diritti di veto o di quorum qualificati, più alti di quelli con i quali i suddetti organi sociali operano normalmente. Queste richieste (che dovrebbero essere modulate in funzione della portata e tipologia di investimento) potrebbero porsi in contrasto con l’esigenza dei founder di dotare la startup di una struttura operativa snella, che preveda un numero ristretto di amministratori e quorum deliberativi non troppo elevati per non rallentare il processo decisionale. D’altra parte, dovrebbe essere interesse dei founder potersi confrontarsi su talune decisioni operative di rilievo con una persona designata dall’investitore che si presuma abbia la necessaria esperienza e conosca il settore in cui opera la startup. Andrebbe anche compresa e rispettata l’esigenza di controllo dell’investitore che non intenda giocare un ruolo manageriale all’interno della startup. Il nostro consiglio è quello di assumere un atteggiamento aperto e disponibile al confronto ed alla negoziazione sui contenuti del potere di controllo che l’investitore vorrebbe esercitare, cercando di giungere ad una soluzione che soddisfi gli interessi di tutte le parti. La negoziazione potrebbe, ad esempio, essere condotta in merito alla determinazione di quorum deliberativi speciali, nonché riguardare l’elenco e l’ampiezza delle materie cosiddette riservate, con riferimento alle quali troverebbero applicazione i suddetti quorum deliberativi speciali o potrebbe riconoscersi un diritto di veto. DICHIARAZIONI E GARANZIE Un’altra questione che spesso costituisce oggetto di discussione nella negoziazione di un contratto di investimento è quella attinente alle dichiarazioni e garanzie (più comunemente note nella traduzione inglese Representations & Warranties, in breve “R&W”) che gli investitori chiedono ai founder di rilasciare con riferimento al business, alla società ed alle attività da questa poste in essere fino alla chiusura dell’operazione di investimento. Gli investitori, al di là dell’esito di una eventuale attività di investigazione che potranno condurre sulla società, i suoi beni, i suoi dipendenti, i contratti stipulati con terzi, la situazione patrimoniale e  finanziaria, ecc., sono soliti chiedere ai founder di attestare che la società fino al momento della chiusura dell’operazione è stata gestita nel rispetto della legge applicabile, che sono stati adempiuti tutti gli obblighi di legge o di contratto prodromici e/o funzionali alla chiusura dell’operazione, che la società non versa in uno stato di insolvenza, che non esistono pretese di terzi sui beni della società o sul capitale sociale, che la società ha adempiuto a tutti i pagamenti previdenziali e fiscali, ecc. Lo scopo di tali dichiarazioni e garanzie è di dare contezza dello situazione in cui si trova la target al momento dell’investimento e fornire agli investitori elementi concreti di valutazione della società ai fini della determinazione dell’investimento. Pertanto, se ci fossero delle criticità queste dovrebbero essere segnalate per tempo dai founder per consentire agli investitori di fare le opportune considerazioni sia sul valore della società sia sulle modalità ed i tempi di realizzazione dell’investimento. Per esempio, se esistesse il concreto rischio che la società dopo il completamento dell’operazione di investimento possa incorrere in ingenti sanzioni amministrative per omissioni di pagamenti nei confronti di autorità pubbliche, sarebbe opportuno che i founder comunicassero ciò agli investitori, dal momento che tali eventi potrebbero avere un impatto sulla valutazione della startup. Il rilascio di dichiarazioni e garanzie è solitamente accompagnato dalla previsione di una dettagliata procedura di indennizzo attivabile, successivamente alla chiusura dell’operazione, nel caso in cui l’investitore e/o la startup dovesse subire dei danni a causa della eventuale non accuratezza o falsità delle dichiarazioni e garanzie rilasciate dai founder. Il contenuto delle dichiarazioni e garanzie dovrebbe di volta in volta essere definito tenuto conto della complessità e tipologia del business della startup, nonché degli anni di vita della startup stessa. Tuttavia, talvolta, le richieste appaiono eccessive rispetto alla portata del business e soprattutto alla data di costituzione della startup ovvero non sono adeguate e modulate al caso concreto. Detto ciò, il consiglio ai founder è di capire di volta in volta la rilevanza delle R&W richieste dall’investitore rispetto al proprio business e negoziare sui contenuti delle stesse segnalando per esempio quelle richieste che non troverebbero applicazione nel caso di specie o che risulterebbero poco coerenti rispetto alle caratteristiche della startup. Non ha, invece, senso secondo noi che il founder insista per non concedere alcuna dichiarazione e garanzia, perché questo atteggiamento sarebbe poco costruttivo e rischierebbe di creare fraintendimenti nei confronti dell’investitore, il quale potrebbe pensare che il founder abbia qualcosa da nascondere. Sarebbe preferibile non contrastare la richiesta dell’investitore di inserire dichiarazioni e garanzie nell’accordo di investimento, ma essere disponibili a negoziarne i contenuti, a discutere in merito ai soggetti tenuti a rilasciarle ed a proporre l’inserimento di limitazioni all’obbligo di indennizzo attraverso, ad esempio, la previsione di soglie minime e tetti massimi al sotto o al di sopra dei quali i danni non sarebbero indennizzabili ovvero attraverso la previsione di termini di decadenza per far valere le pretese di indennizzo.   Contributor: Antonia Verna e Chiara Sannasardo – Studio legale Portolano Cavallo

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