Energie, ok al nucleare e al gas nella Tassonomia europea

Lo scorso 6 luglio la maggioranza del Parlamento europeo si è espressa contraria alla risoluzione di rigetto sull’atto per inserire il nucleare e gas quali fonti di energia sostenibili nella Tassonomia (Taxonomy Regulation). Con tale atto della Commissione europea le due fonti vengono inserite nella classificazione delle attività e degli investimenti considerati sostenibili e coerenti con gli “obiettivi di mitigazione e adattamento al cambiamento climatico”. Ora l’iter potrà continuare. Lo stesso presidente della Commissione, Ursula von der Leyen, aveva dichiarato che “se l’atto delegato sulla Tassonomia fallirà non ce ne sarà un secondo. Sono stata molto chiara anche con il Consiglio Ue”, ribadendo come nucleare e gas “servano per la transizione”. Finora, attraverso la nostra inchiesta sulle differenti fonti di energia, abbiamo avuto l’occasione di conoscere i molteplici pareri di attori e protagonisti della scena italiana. Dopo questa notizia, abbiamo voluto riprendere l’argomento, chiedendo l’opinione di Umberto Minopoli, presidente dell’Associazione italiana nucleare. Oggi il nucleare è un’energia sicura e illimitata, come sostengono alcuni suoi colleghi? Il nucleare oggi è sicuramente una energia abbondante, continua, e si inserisce perfettamente in una condizione di transizione energetica in cui bisogna pensare a fonti di energia pulite, non emissive di Co2. Con “abbondante” intendo una fonte in grado di sostituire le funzioni che svolgono attualmente il carbone, petrolio e gas, in grado quindi di fornire e garantire al sistema energetico energia in ogni ora del giorno, in ogni tempo atmosferico, per compensare l’intermittenza delle fonti rinnovabili. Ecco che con queste caratteristiche il nucleare è il candidato sostitutivo più promettente alle funzioni che finora hanno svolto gas, carbone e petrolio nel mix energetico dei Paesi industrializzati. Direi di andare subito con i soliti dilemmi questionati sul nucleare. Si potrebbe controbattere al nucleare che se dobbiamo de-carbonizzare entro il 2050, con una tappa decisiva già al 2030, il nucleare potrebbe contribuire zero. Perché In Italia mancherebbero le condizioni base: oltre al tempo, non ci sarebbero i siti, gli investitori pubblici e privati, e il know-how che a seguito delle scelte del passato è stato largamente perduto. Il nucleare sarebbe poi un’industria in crisi profonda da decenni: dalla produzione del 17,6% nel 1996 dell’elettricità mondiale, al 10,1% oggi. Il mancato successo del nucleare non sarebbe da rinvenire nelle lotte degli ambientalisti o politiche green, il nucleare non avrebbe sfondato perché avrebbe ancora problemi intrinseci irrisolti: quello economico, quello di non aver mai chiuso il ciclo della gestione dei propri rifiuti, quello della bassissima accettabilità sociale e anche quello etico: lasciare in eredità a decine di generazioni future la gestione dei nostri rifiuti nucleari non è accettabile e non ha nulla a che vedere con una transizione energetica che dovrebbe essere socialmente sostenibile. Come controbatte? Sono affermazioni assolutamente infondate. Intanto il nucleare è oggi il 10% di energia elettrica fornita globalmente, ma nei Paesi industrializzati, come per esempio l’Europa, la percentuale sale ampiamente al 25%. Quindi parliamo della prima fonte energetica non carbonica dell’economie industrializzate, e di una fonte che negli ultimi decenni, è vero che è passata da 17% al 10% del suo contributo in una fase di rallentamento delle costruzioni nucleari, ma è anche vero che già da alcuni anni questa percentuale, quota di contributo all’energia elettrica, si è stabilizzata e continua a crescere in tutti i Paesi industrializzati. Attualmente sono in costruzione circa 54 nuove centrali nucleari che si aggiungono alle 442 esistenti e operative nel mondo, e quest’ultime hanno funzionato e fornito il loro contributo senza sostanziali incidenti. Non solo, ma nei settant’anni di storia nucleare sono stati esclusivamente tre quelli sostanziali, con conseguenze che si possono giudicare catastrofiche esclusivamente per l’emissione di radioattività in atmosfera – per esempio nel caso dell’incidente di Cernobyl -, eppure hanno avuto una fatalità minore di tutte le altre fonti energetiche considerate, quindi il track record dell’energia nucleare è di assoluta sicurezza dal punto di vista del funzionamento. Sulla questione delle scorie ci sarebbe da ragionare con un’altra domanda specifica, ma intanto le posso rispondere che attualmente sono gestite dall’avvio della produzione nucleare in maniera assolutamente standardizzata, con procedure sicure, e non v’è alcun impatto pericoloso dal punto di vista della gestione e del trattamento in sicurezza di queste scorie. A chi è del parere contrario sarebbe da chiedere se siano in grado di indicarmi una sola criticità, un solo incidente, un solo impatto che ha avuto elementi di rischio e di conseguenze incidentali nella gestione delle scorie nucleari. Non lo troveranno in 70 anni di storia del nucleare, quindi la “paura” delle scorie è esagerata, non avendo alcuna attinenza con la realtà e venendo alimentata esclusivamente per suscitare un’impressione demoniaca dell’industria nucleare, quando invece rappresenta a oggi una fonte di energia utilizzata in circa 33 Paesi nel mondo e ci avviciniamo ormai al numero di 50. Nel suo libro Nucleare, Ritorno al futuro, sulla Tassonomia esprime la seguente affermazione: «Con la Tassonomia l’Europa dichiara che, senza il nucleare, l’elettrificazione è impossibile. La fonte atomica […] è l’unica che potrà compensare l’intermittenza, la variabilità naturale e la casualità delle fonti rinnovabili. È anche l’unica a poter garantire, in ogni momento, il livello minimo di fornitura sulle reti elettriche per la continuità del servizio in attesa che la tecnologia renda disponibili batterie di rete e sistemi di accumulo». Ma l’idrogeno verde non potrebbe garantire l’efficienza e continuità in casi di interruzione energetica? Inoltre l’Italia ha preso una decisione abbastanza drastica con gli investimenti sull’idrogeno verde e rinnovabili tramite anche il PNRR. Cosa ne pensa dell’idrogeno verde come forma di accumulo in casi di interruzione energetica? Allora, l’idrogeno verde è un vettore energetico, è qualcosa che deve essere prodotta, e produrlo con le fonti rinnovabili è attualmente considerato una prospettiva molto molto costosa, per questo ci si sforza di individuare altre tecnologie possibili nel medio termine per produrre l’idrogeno in maniera meno costosa. I reattori nucleari sono una delle tecnologie più adeguate alla produzione di idrogeno verde per due ragioni: perché lavorano con temperature altissime che rendono possibile la produzione di idrogeno verde e allo stesso tempo sono una tecnologia che fornisce energia elettrica e potrebbe fornire energia nella produzione di idrogeno in maniera continuativa, non avendo emissioni carbonifere La pubblicazione del regolamento UE sulla Tassonomia, sembra però non essere una vittoria ma più un contentino per alcuni Paesi. Prevede infatti che i Paesi che vogliono finanziare questi progetti debbano indicare criteri precisi – nel proprio territorio, non altrove – per identificare siti per la messa in sicurezza delle scorie. Secondo alcuni in pratica – “in Italia il nuovo nucleare avrebbe già chiuso prima di incominciare, visto che bisogna ancora trovare il sito per mettere i rifiuti prodotti 60 anni fa, quindi sarebbe assolutamente impensabile individuare un sito per i rifiuti nucleari che produrremo fra 40 anni.  In altre parole, anche il nucleare in Italia chiuderebbe per sempre con la Tassonomia. La Tassonomia […] per l’Italia è in realtà un’ottima notizia per chi ritiene che gas e nucleare non siano verdi”. Inoltre alcuni sono del parere che – “il nucleare non avrebbe le caratteristiche temporali per quelle che sono le finalità della Tassonomia europea (tempi di costruzione), perché la costruzione di nuove centrali prevede un tempo minimo di almeno 15 anni”. Con la decisone del parlamento europeo sulla Tassonomia, quali problemi e ostacoli oggi potrà riscontrare il nucleare in Italia? Guardi chi fa queste affermazioni dice una cosa assolutamente falsa: il problema della condizione delle scorie nella Tassonomia si riferisce alle scorie cosiddette a lunghissimo decadimento, che non sono la maggioranza delle scorie prodotte dal processo nucleare, ma una piccola quantità, per la quale è in discussione in tutti i Paesi del mondo la loro sistemazione definitiva, reputando di utilizzare a questo fine la costruzione di depositi di profondità, i cosiddetti depositi geologici. La Tassonomia non pone che ogni Paese deve avere un deposito geologico. Dice che nell’avviamento di nuove costruzioni nucleari i Paesi devono indicare l’obiettivo della sistemazione definitiva di queste scorie e ciò è assolutamente una cosa allo stato dell’arte in tutti i Paesi europei, il cui problema della sistemazione definitiva si pone appunto tra 40-50 anni, durante i quali l’Europa ha onerosi programmi di costruzione di depositi per tale tipologia di scorie. Anche in Italia il deposito di superficie indica una soluzione temporanea, assolutamente ritenuta coerente con gli obiettivi della sistemazione dei rifiuti. Di depositi di superficie ci sono numerosi esempi in tutta Europa e uno lo dovremmo realizzare anche in Italia. Poi i depositi geologici possono essere costruiti in Paesi che non hanno impianti nucleari. Del resto, la tecnologia nucleare oggi ha in prospettiva la costruzione di reattori che addirittura eliminano il problema di scorie di lunghissimo decadimento. Nei futuri reattori nucleari di quarta generazione, quelli che si approssimeranno ai mercati alla fine di questo decennio, il problema delle scorie di lunga conservazione sarà definitivamente risolto, perché queste scorie si trasformano in combustibile per i reattori, quindi non ci sarà più bisogno neanche della loro sistemazione in un deposito geologico – la soluzione attuale, ma sempre una soluzione che si propone tra circa 30-40-50 anni, quando i depositi geologici saranno disponibili in alcuni Paesi. Però parliamo ripeto di una percentuale delle scorie retroattive assolutamente irrisoria e sarebbe ancor più irrisoria per un Paese come il nostro che avvierebbe oggi l’attività nucleare. La quantità di queste scorie è più o meno il 3% del totale delle scorie prodotte da un impianto nucleare per i quali vigono regole standard di gestione, di sistemazione e di smaltimento. Tempo fa Mario Draghi sull’esigenza di differenziare il mix energetico dell’Italia, per ridurre la dipendenza dal gas russo, toccando la questione del nucleare ha dichiarato che “«L’impegno tecnico ed economico è concentrato sulla fusione a confinamento magnetico, che attualmente è l’unica via possibile per realizzare reattori commerciali in grado di fornire energia elettrica in modo economico e sostenibile». Nel dettaglio la strategia europea per le energie a fusione «prevede l’entrata in funzione del primo prototipo di reattore a fusione nel 2025-2028». Come vede le dimissioni di Draghi nelle politiche future sull’energia e soprattutto sul nucleare? Le affermazioni di Draghi sono importanti ma purtroppo imprecise: attualmente la fusione nucleare è in promettente sviluppo tecnologico e resta allo stato sperimentale in numerosi laboratori – in Francia è in via di completamento il primo grande reattore. La dimostrazione della possibilità fisica della fusione come tecnologia per produrre energia elettrica la si deve datare a partire dal 2050. Nel frattempo invece esistono già le centrali a fissione di terza generazione, una tecnologia con una storia di innovazione su tutti i principi di sicurezza ed economicità del suo utilizzo; poi ci sarà l’avvento della quarta generazione a partire dalla fine del prossimo decennio, con gli small modular reactor, reattori che si inseriranno organicamente nelle tecnologie della transizione energetica per una serie di loro caratteristiche fortemente innovative: per la loro dimensione per esempio possono integrare facilmente le reti rinnovabili fornendo quel backup essenziale per superare il problema dell’intermittenza di queste fonti e per le temperature con cui lavoreranno sono l’ideale per la produzione di idrogeno e infine è la tecnologia più ampliamente utilizzabile per Paesi che non sono dotati di grandi reti e sistemi per produrre energia elettrica, ma anche per fare attività come per esempio la cogenerazione o la desalinizzazione – problema molto attuale con la siccità che si sta verificando. Quindi il nucleare è assolutamente una tecnologia del futuro come cerco di spiegare nel mio libro, perché avrà altre caratteristiche, nuove dimensioni e nuovi profili tecnologici che lo renderanno una delle tecnologie assolutamente più coerenti e meglio inserite nelle esigenze della transizione energetica e nella stessa esigenza di fare un utilizzo sempre maggiore delle fonti rinnovabili, ma allo stesso tempo potendolo corrispondere ai problemi di criticità di queste fonti, come l’intermittenza, ed essere in grado di sostituire veramente il carbone, il petrolio e il gas di cui dovremmo fare a meno. A metà degli anni Settanta, l’Italia per scelte politiche abbandonò il nucleare per puntare tutto sui combustibili fossili, in un momento di crisi energetica, quando il prezzo del petrolio ebbe un drastico aumento. Oggi non ci troviamo in una situazione simile, ma con il gas? È esattamente così: l’Italia con il referendum del 1987 all’indomani dell’incidente di Cernobyl fu, tra i circa 33 Paesi col nucleare, l’unico a decidere di chiudere le proprie centrali, un immediato phase out. Apparentemente giocando sull’emozione dell’incidente di Cernobyl, apparentemente come risposta al problema della sicurezza dell’energia nucleare. In realtà lo facemmo per la volontà di cancellare questa tecnologia e le sue prospettive nei Piani energetici italiani – programmi costruttivi di nuovi impianti e centrali – per sostituire il ricorso al nucleare col ricorso alle energie fossili. Allora avevamo una altissima percentuale di produzione energetica attraverso il carbone, decidemmo invece di cancellare il nucleare e di sostituirlo con il ricorso massiccio ad un’altra fonte fossile, il gas, che rapidamente conquistò la supremazia con la produzione energetica del Paese diventando la fonte primaria su cui si basava il mix energetico italiano – e all’epoca non c’erano neanche le fonti rinnovabili -, costruendo quella che oggi chiamiamo la “dipendenza” del nostro sistema al gas dai Paesi da cui lo importiamo. Poi negli anni la Russia è diventato il Paese da cui ne importiamo maggiormente. Come spiego nel libro la scelta della cancellazione della fonte nucleare è stata solo un alibi di coprirla con l’incidente di Cernobyl, perché in nessun Paese al mondo Cernobyl ha determinato la chiusura e la rinuncia all’energia nucleare. Tutti i Paesi per esempio che hanno dichiarato dopo Cernobyl la volontà di non voler ricorrere all’energia nucleare lo hanno fatto mantenendo l’attività delle loro centrali fino al periodo di esaurimento e questo esaurimento rispetto al periodo del ciclo di vita delle centrali europee di allora avrebbe avuto ancora decenni di attività davanti. Le centrali tedesche, belghe, quelle di cui si dichiarò dopo Cernobyl la volontà di chiusura, giungono solo oggi alla fine del ciclo di vita. Per esempio, il Belgio è uno di quei Paesi che ha rinnegato la scelta della chiusura a fine ciclo di vita delle centrali e ha annunciato il posponimento di ulteriori 10 anni di utilizzo delle due loro centrali per i problemi creati dalla crisi Ucraina e prezzi del gas. In poche parole è stata una scelta della classe dirigente dell’epoca? È stato innanzitutto quello che io chiamo nel libro “illusione” e “Profezia Prodi”: Prodi stigmatizzò nella Conferenza nazionale sull’energia che precedette le decisioni del governo in base al referendum, l’illusione di allora dell’industria legata al petrolio e al gas di approfittare dell’ondata emotiva dell’incidente di Cernobyl per determinare una brusca fuoriuscita dalla fonte nucleare per costruire i più “economici e convenienti” impianti di turbogas. Prodi diceva che sarebbe stata un’illusione perché l’abbandono del nucleare avrebbe determinato i problemi che vediamo oggi: aumento delle importazioni, aumento dei prezzi del combustibile. Podi stigmatizzava dunque l’illusione di una fuoriuscita dal nucleare per avere poi un utilizzo conveniente e senza problemi delle fonti fossili nei decenni successivi. Aveva ampiamente ragione: adesso poi è un problema che è esploso con tutta la sua drammaticità, prima con la crisi dei prezzi del gas nell’agosto del 2021 e poi nel febbraio del 2022 con la guerra in Ucraina. Ora siamo alla resa dei conti di un sistema ampiamente fallimentare che ha avuto il suo atto di origine in quella decisione del 1987 di semplificare ancora di più il mix energetico italiano facendo a meno della fonte nucleare dal peso che oggi hanno le fonti fossili. Secondo uno studio del 2009  il costo per la chiusura delle centrali si aggira intorno ai 55 miliardi di euro, c’è poi però un costo non calcolato, ovvero quello relativo alla somma del costo della sostituzione di quelle fonti con l’importazione negli anni, il costo di emissione di CO2 e che sarebbe mancata se quella quota di energia nucleare fosse stata portata avanti, i costi oggi dell’emergenza del gas. Insomma tanti costi che sarebbero stati attenuati se i programmi nucleari non fossero stati cancellati. Perché è questo che la gente dimentica: il problema vero non è tanto e solo la chiusura delle centrali nucleari che avevamo allora attive, le quali erano molto poche e davano un contributo non altissimo alla produzione di energia, ma la cancellazione dei Programmi che erano in corso di aumento della quota di energia nucleare nel Paese: avevamo in entrata in funzione una grande centrale nucleare – le altre tre erano di più piccola dimensione – quella di Caorso di circa 800 MW che stava appena per superare la fase dell’ammortamento della sua costruzione e avrebbe cominciato a dare un contributo con i suoi 800 MW – quota maggiore rispetto alla somma delle tre centrali attive; avevamo inoltre in costruzione la centrale di Montalto di Castro, circa all’80% del suo completamento e con una fornitura di 2400 MW; la somma dei megawatt di queste sole due centrali sarebbe stato un contributo annuo di produzione elettrica del Paese che a oggi ci avrebbe tranquillamente consentito di vivere senza alcun problema di affanno, con la ricorsa agli approvvigionamenti, sostituendo il gas russo, e ovviamente importandone una quota minore; un danno insomma su cui le classi dirigenti che l’hanno reso possibile dovrebbero fare qualche riflessione. Cosa vorrebbe dire a chi è contrario al nucleare? Guardi, io sono un amante delle tecnologie: per me non esiste il fatto di contrapporre il fotovoltaico, l’eolico, le biomasse, nucleare ecc, tutto quello che serve a generare energia, secondo me, è la missione dell’uomo, e lo deve fare con tutte le fonti e le tecnologie che riesce a inventare. Ma escludere una tecnologia rispetto alle altre per ragioni di definizioni che sono assolutamente fuori dal tempo – perché il nucleare è una storia di cinquant’anni, di centinaia di impianti di tipo e modelli ingegneristici diversi, con storie diverse -, trattando quindi il nucleare in maniera generica come se fosse un impianto uguale a sé stesso in tutto il mondo e con ogni singolo problema di tipo tecnico che viene spesso sollevato (esempio il funzionamento in sicurezza, il problema delle scorie ecc), è un qualcosa di ridicolo e fuori dal comune. Ritengo che la discussione debba andare sempre avanti con contrapposizioni sulla tecnologia. Noi ci dobbiamo convincere che la transizione energetica è molto complicata da attuare soprattutto per un fatto: che non abbiamo a disposizione tutte le tecnologie per fare quello che diciamo di voler fare. Ci vogliamo liberare del carbone, del petrolio, del gas entro il 2050, ma non abbiamo realisticamente ancora a disposizione le tecnologie per farlo, come dice Bill Gates. Se poi ci mettiamo anche a selezionare tra le tecnologie non carboniche quelle buone e quelle cattive ci apprestiamo a fare un grande buco nell’acqua e a trasformare la transizione energetica in un disastro sociale, politico e tecnologico, quando invece bisognerebbe avere più pragmatismo, meno supponenze ideologiche e capire di più la realtà delle tecnologie che abbiamo di fronte, tutte. (Photo by Nicolas HIPPERT on Unsplash )

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