Le tecniche di negoziazione per evitare trappole e debolezze

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Maria Deledda è avvocato presso lo studio legale internazionale Hogan Lovells, dove si occupa di diritto immobiliare. L’esperienza sulle operazioni straordinarie l’ha portata ad appassionarsi al mondo delle negoziazioni e delle tecniche di negoziazione. Dopo anni di formazione specifica e di collaborazione con una delle principali scuole in Israele, nel 2017 ha lanciato un progetto di training in tecniche di negoziazione che -costruito inizialmente come una academy interna ad Hogan Lovells- è stato successivamente esteso anche ai clienti. In questo articolo Maria Deledda spiega come le tecniche di negoziazione possono essere utili anche per le startup, quando per esempio si trovano a negoziare un deal con un investitore.  

Cos’hanno in comune una startup che va a negoziare con un grosso fondo di venture capital e un ostaggio che cerca di negoziare il rilascio col suo rapitore? Entrambe queste situazioni sono classificate in teoria della negoziazione come negoziazioni in situazioni di squilibrio; spesso infatti chi negozia con un soggetto che ha più potere si sente “ostaggio” dell’altro. Questo può valere per la startup, per le società  in difficoltà economica che rinegoziano il finanziamento con la banca creditrice, e per tutte quelle situazioni che hanno in comune una grossa disparità tra le parti: una ha soldi, potere, nessun bisogno, l’altra non ha potere e ha solo bisogni. Ma: siamo sicuri che le cose siano proprio come appaiono?

Facciamo un passo indietro

Tutte le volte che dobbiamo affrontare una negoziazione, qualunque essa sia, senza rendercene conto partiamo sempre da una domanda: chi ha più potere? Se la risposta a questa domanda ci porta alla conclusione che non siamo noi il soggetto che ha più potere, ma anzi quello che parte svantaggiato, automaticamente ci metteremo in modalità “svantaggiato” e affronteremo la negoziazione chiusi in quel mindset. Cosa che la maggior parte delle volte non aiuta, anzi; porta infatti spesso ad auto-sabotarsi, a non “vedere” letteralmente l’altro (con i suoi interessi e le sue difficoltà) e a mettere in atto tutta la gamma di comportamenti che le nostre convinzioni e la nostra struttura mentale prevede debbano essere messi in atto per casi del genere (a seconda dei casi e del tipo di carattere: adulazione, implorazione, aggressività). La vera domanda è: che analisi abbiamo fatto per arrivare a questa conclusione? Cioè: Sappiamo qualcosa, abbiamo qualche dato oggettivo dell’altro, abbiamo verificato la sua, situazione e le sue difficoltà? Spesso non abbiamo fatto nessuna reale analisi, ma abbiamo solo applicato proiezioni, e  questa situazione di svantaggio, in cui a volte ci culliamo anche un po’, è spesso il frutto più di queste proiezioni che di un’analisi oggettiva della realtà. Ora, è legittimo chiedersi che analisi sia realisticamente possibile fare in situazioni che sembrano apparentemente “chiare”, come la società distressed che rinegozia il debito con la banca o la piccola startup che va a negoziare col fondo di venture capital. È qui che vengono in soccorso le tecniche di negoziazione, che agiscono a due livelli: 1) aiutano a prendere coscienza della “tunnel vision” che normalmente ci affligge quando affrontiamo una negoziazione in posizione di svantaggio; 2) danno un aiuto proattivo a inquadrare la situazione in maniera meno scontata del “chi ha più potere”.

Come funzionano le tecniche di negoziazione

La loro applicazione dipende ovviamente dalle specificità del caso concreto; in estrema sintesi, tre sono le categorie di tecniche che possono venire in aiuto per affrontare una negoziazione squilibrata: – il positioning. Con questo termine si indicano tutte le tecniche che hanno a che fare con la gestione delle dinamiche di potere sotterranee tra le parti. È il non-detto tra le parti, che entra in gioco dal momento in cui posiamo la mano sulla maniglia della porta per entrare in sala riunioni e ci “posizioniamo” rispetto all’altro, per lo più sulla base di proiezioni sul “potere” reciproco. Il positioning ha a che fare con le “storie” che raccontiamo a noi stessi, su chi siamo noi e su chi sono gli altri; ed è chiaro che se queste storie sono concentrate in via esclusiva sulle nostre difficoltà, questo trasparirà all’esterno (e a quel punto saremo noi stessi a mettere l’altro in condizione di considerarci il più debole, non sarà lui a farlo). Le tecniche negoziali ci insegnano anzitutto a prendere coscienza del “dialogo interiore” e a invertire la narrazione solipsistica delle difficoltà; – l’esplorazione degli interessi al tavolo negoziale. Spesso, e soprattutto se siamo la parte debole, affrontiamo la negoziazione chiusi in una vera e propria “tunnel vision” sulle nostre difficoltà. Non consideriamo mai, né tanto meno cerchiamo di esplorare, le difficoltà e gli interessi dell’altro; le presumiamo e basta. Le tecniche negoziali aiutano a uscire da questo mindset e a condurre un’“esplorazione” degli interessi dell’altro, tramite:

  1. a) l’uso di domande (preferibilmente aperte, secondo tecniche specifiche) volte a capire i reali interessi della parte al di là delle sue posizioni, e le eventuali alternative, oltre che la logica con cui ragiona l’ente che la persona che abbiamo di fronte rappresenta. Solo il far domande consente infatti di capire “cosa c’è nella testa dell’altro”, in omaggio al principio del “negotiation happens in your partner’s head”. Per esempio, cambierebbe o no il nostro approccio al tavolo negoziale il riuscire ad avere informazioni sulla strategia di investimento del fondo, sul fatto che quel fondo è sotto budget e mancano pochi mesi alla chiusura dell’esercizio? O che ci sono state direttive per canalizzare investimenti in un certo tipo di asset? Oppure sapere quale è la posizione della persona con cui sto parlando rispetto all’istituzione che rappresenta (magari è in difficoltà internamente e deve portare a casa risultati)? È chiaro che difficilmente si arriverà ad avere dal nostro interlocutore informazioni riservate, ma è altrettanto sicuro che non uscire dal guscio delle nostre presunzioni e rinunciare a vedere l’”altro” è un esercizio perdente, che ci porta a lasciare valore sul tavolo negoziale.
  2. b) la costruzione di un rapporto (cosa possibile anche nell’arco di un breve colloquio), che passa dal resistere alla tentazione di applicare all’altro facili etichette e vederlo per quello che è. Questo passaggio è possibile anche in situazioni apparentemente disperate come la negoziazione ostaggi; per quanto paradossale e controintuitivo possa apparire, tanti casi di sequestro ostaggi risolti pacificamente passano proprio per la costruzione di un rapporto di rispetto reciproco, in una situazione in cui il rispetto è una reazione controintuitiva. In situazioni diverse e più “normali”, non sempre siamo consapevoli dell’effetto “specchio”: se trattiamo da aggressivo arrogante uno che presumiamo essere aggressivo arrogante, gli facciamo da specchio e lui ci rimanderà l’immagine che gli stiamo mandando. Se invece abbiamo una reazione inattesa e lo trattiamo senza fare la vittima (perchè anche su questo a volte c’è un effetto-specchio), con rispetto, lo sorprendiamo, raffreddiamo la situazione, e portiamo tutto sul piano del confronto alla pari staremo usando l’effetto-specchio a nostro favore. Si tratta di un esercizio molto difficile ma vincente, soprattutto in casi di rapporti molto squilibrati;

la costruzione strategica (deal set-up) prima di affrontare il tavolo negoziale. Il deal set-up è fondamentale sia per preparare il tavolo negoziale, sia per costruire le alternative al di fuori del tavolo negoziale.  È chiaro infatti che l’esistenza di una alternativa (che va costruita, non è là pronta ad aspettarci) toglie molta pressione al tavolo negoziale e ci consente di evitare di metterci nelle cosiddette do-or-die situation. Il più grande errore che si possa fare sedendosi a un tavolo negoziale è quello di pensare di aver (già) capito tutto, perchè ci dà una tunnel vision; soprattutto nelle negoziazioni squilibrate. Se noi pensiamo di aver capito tutto prima di sederci al tavolo passiamo il tempo a cercare conferma di quello che pensavamo di aver capito. E questo ci porta a vedere un interlocutore debole quando non lo è, aggressivo quando non lo è, forte quando non lo è ecc. Invece: fare domande, costruire la connessione e creare la relazione ci porta ad essere molto più disponibili a trovare (e suggerire all’altro) soluzioni creative, uscendo così dal ruolo di vittima che viene facile attribuirsi quando ci si siede a un tavolo squilibrato. A questo servono le tecniche negoziali: a uscire dalla tunnel vision e ad avere un approccio professionale, non istintivo alla negoziazione; anche e soprattutto nelle situazioni in cui sembra di non avere alternative. (Photo by Headway on Unsplash ) Maria Deledda

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