Scalapay, l’unicorno e l’ecosistema

Ecco l’unicorno, la startup che diventa scaleup fino a valere più di un miliardo di dollari (o euro), la stampa internazionale celebra la nascita del ‘primo’ unicorno italiano annunciando il round da 497 milioni di dollari raccolto da Scalapay, la fintech che offre il servizio di BNPL, sigla che sta per ‘buy now pay later’, quindi compra oggi paga dopo, e che consente ai consumatori di acquistare beni, tipicamente di alta fascia di prezzo, a rate accedendo a tale possibilità direttamente dal sito e-commerce di chi il bene lo vende. Scalapay è una bellissima storia, è la storia di un’impresa che usando la tecnologia offre un servizio che il mercato vuole, che è cresciuta in modo rapidissimo: a febbraio 2021 raccolse 48 milioni di dollari e a settembre 2021 altri 115 milioni di dollari a una valutazione che era già di 700 milioni di dollari. Il round annunciato ieri è stato celebrato dai grandi media internazionali che si occupano di startup come Sifted che la indica come il primo unicorno italiano e come Tech.eu che pure ne sottolinea la crescita ed è anche l’unica testata che riporta come l’investimento da 497 milioni di dollari sia in parte in equity, per 213 milioni di dollari, e in parte in debito per i restanti 284 milioni di dollari. Oggi anche i giornali italiani riportano la notizia con Il Sole 24 Ore che ne sottolinea la genesi australiana e il fatto che la società holding sia irlandese e il Corriere della Sera che, con precisione, ne analizza il modello di business per comprendere se un servizio come quello offerto da Scalapay possa favorire l’indebitamento dei consumatori, obiezione alla quale il co-fondatore Simone Mancini risponde affermando che Scalapay non invita le persone a vivere sopra le proprie possibilità ma consente di avere una migliore esperienze d’acquisto nel momento in cui si decide di acquistare un bene che si è tanto desiderato, di togliersi uno sfizio magari. Inoltre l’articolo del Corriere va controcorrente affermando che Scalapay è in verità il terzo unicorno italiano, prima lo sono stati Yoox  e Depop, due aziende che oggi sono state acquisite da gruppi internazionali Il round di Scalapay vede impegnati investitori internazionali di primo piano: Tencent e Willoughby Capital hanno guidato questo round a cui hanno partecipato anche Tiger Global, che aveva guidato il round di settembre 2021, Gangwal, Moore Capital, Deimos e Fasanara Capital. La storia di Scalapay è quindi una bella storia che continua e crescere e che porterà ulteriore valore, che creerà centinaia di nuovi posti di lavoro anche in Italia, dove già oggi sono la metà delle circa 200 persone che lavorano per la società. E qui non si discute: c’è un’impresa che cresce che ha saputo cogliere il momento giusto, che ha saputo sviluppare le giuste tecnologie, ultima il servizio denominato Magic che renderà ancora più facile l’esperienza di acquisto, che è guidata da bravi imprenditori, insieme a Simone Mancini c’è l’altro co-fondatore Johnny Mitrevski, che ha saputo siglare partnership con grandi marchi come Alberta Ferretti, Luisa Spagnoli, Decathlon, Intimissimi, Calzedonia. Ci sono però alcune considerazioni che meritano di essere fatte, non sulla scaleup ma sul significato che annunci come questo hanno per l’ecosistema. Detto che Scalapay è vista anche dai media internazionali come azienda italiana, ed è giusto che sia così in quanto è in Italia che ha al momento i suoi principali asset operativi che cresceranno così come certamente crescerà il suo sviluppo internazionale quando i soldi incassati con questo round inizieranno a essere spesi, è anche però occasione per mettere in luce alcune debolezze strutturali del nostro ecosistema. Intanto, e questo è già successo con grandi aziende tech di genesi italiana in passato, il ruolo degli investitori italiani si palesa come marginale e qui vi sono diversi motivi tra cui certamente la capacità di investimento in termini quantitativi che ancora difficilmente riesce a competere con i colossi del venture capital internazionale. C’è poi il tema della refrattarietà che gli investitori internazionali hanno nell’investire in entità di diritto italiano e questo è forse il problema strutturale più delicato e limitante. E’ un problema che ha radici nel sistema italiano burocratico, legale, è un problema che riguarda l’economia italiana da ben prima che nascessero le startup e le scaleup ma che oggi, in un contesto dove è sempre più agile strutturare aziende con più teste in diversi Paesi, soprattutto all’interno della UE, si manifesta in modo ancor più dirompente e se andiamo a studiare le storie delle tech-company italiane di successo come le già citate Yoox e Depop ma anche Octo Telematics o Soldo o Docebo o in una certa misura anche D-Orbit , a un certo punto della loro evoluzione si sono viste costrette a creare entità come holding o sedi legali, in altri Paesi per potere attirare gli investitori internazionali. Possiamo tranquillamente affermare che queste aziende sono italiane, non possiamo però ignorare che si tratta di un’italianità che certamente caratterizza gli imprenditori e la genesi di tali venture, ma che con l’evolversi del processo di crescita si deve inevitabilmente un po’ diluire. Qui entrano in gioco due elementi. Il primo è che gli imprenditori, così come accade anche per scienziati e ricercatori, per esempio, non solo hanno il diritto ma anche il dovere di andare dove la loro missione e la loro impresa trova il migliore terreno possibile per crescere perché solo così possono essere competitivi e creare il valore che si sono prefissati di creare. Il secondo è il valore che vogliamo dare al concetto di storytelling autarchico col rischio di scivolare nella retorica, mi spiego: affermare, sottolineare la bravura di un imprenditore italiano enfatizzandone l’italianità è bene, siamo contenti quando possiamo raccontare la storia di successo di un connazionale, così come lo siamo quando celebriamo i successi olimpici dei nostri atleti, enfatizzare poi come tale imprenditore sia anche capace di creare valore in Italia in termini di sviluppo di un business, di posti di lavoro, di impatto sociale è anche un bene. Gongolarsi sul concetto di sistema Paese quando vediamo tutti i giorni che tale sistema ha dei limiti strutturali è invece meno efficace perché è proprio in queste occasioni che diviene importante sottolineare come potremmo fare meglio, come potremmo essere ancora più efficaci e attrattivi, come gli imprenditori non mancano ma sono costretti a trovare soluzioni di ampio raggio geografico per potere crescere nel modo migliore possibile. Ecco che quindi gli unicorni, che sia il primo, il secondo, il terzo in questa fase è irrilevante, possono essere per l’ecosistema italiano doppiamente importanti: da un lato chiara e lampante dimostrazione che la capacità degli imprenditori italiani è pari, se non per certi versi superiore a quella degli imprenditori di altri Paesi, dall’altro occasione per riflettere su come il nostro ecosistema può migliorare ulteriormente per favorire in modo ancora maggiore la nascita di tali imprese. Tutto ciò senza naturalmente dimenticare che anche a livello di ecosistema, e non solo di singole startup e scaleup, è opportuno avere sempre più una visione che sia il più possibile ampia, interconnessa e internazionale perché la vera sfida si gioca sui mercati di tutto il mondo e per poterla giocare al meglio è necessario essere collaborativi e permeabili soprattutto a livello europeo ed è perciò che iniziative come il recentemente annunciato ETCI rappresentano segnali molto importanti. (Photo by June Gathercole on Unsplash )

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