Le imprese italiane scoprono il design thinking

Il viaggio da Stanford all’Italia è durato 20 anni, ma finalmente il design thinking sbarca nelle imprese italiane: oggi un manager su tre lo sta usando per gestire e fare innovazione in azienda. Sono i risultati della ricerca dell’Osservatorio Design Thinking for Business della School of Management del Politecnico di Milano che ha intervistato 368 manager responsabili di diverse unità di business aziendali per arrivare a concludere che il Design Thinking è attualmente il modello più in voga, utilizzato da quasi un terzo del campione (31,2%), seguito dall’approccio Agile Development (che promuove il continuo sviluppo emiglioramento del progetto lungo le diverse fasi del suo ciclo vitale) che è impiegato da un manager su quattro (25,0%), dall’Open Innovation (che sfrutta spunti di innovazione dall’esterno per accelerare l’innovazione in azienda e condivide con il mercato l’innovazione prodotta internamente, 18,7% del campione) e dal modello Lean Startup (che sviluppa attività e prodotti mirati ad accorciare il ciclo di sviluppo di un prodotto e a determinare rapidamente se il modello di business proposto è funzionale, 15,6%), mentre circa uno su dieci si concentra su altri approcci all’innovazione (9.5%). “Il Design Thinking si sta diffondendo rapidamente nelle imprese italiane,trovando applicazione in una grande varietà di settori economicie di processi, come l’innovazione di prodotto e servizio, le esperienze digitali e la trasformazione organizzativa –afferma Claudio Dell’Era, Direttore dell’Osservatorio Design Thinking for Business -. I manager abituati ad utilizzarlo raramente lo integrano con altri modelli di gestione dell’innovazione, preferendo estenderne l’uso a diverse attività, mentrechi invece adotta prevalentemente altri approcci all’innovazione è più aperto a combinare gli altri modelli con il Design Thinking, sfruttandone la versatilità e le superiori capacità di comprensione e interpretazione dei problemi”.

I settori dove è più usato il design thinking

I settori che nel 2020 hanno investito maggiormente in progetti basati sul Design Thinking sono energia (13,0% della spesa), manifattura (12,3%) e finanza e assicurazioni (11,8%). Ma è forte anche l’interesse dei comparti retail (10,5%), food & beverage (7,9%), healthcare (6,4%), automotive (4,1%), pubblica amministrazione(2,9%) logistica e trasporti (2,5%) e IT (2,4%). Questi dieci settori coprono quasi il 75% del totale degli investimenti in iniziative di Design Thinking nell’ultimo anno. Il 38,6% della spesa riguarda progetti per la risoluzione di problemi complessi (Creative Problem Solving), in crescita del 5,1% rispetto al 2019, il 24,6% è dedicato alla realizzazione e verifica rapida di prodotti e servizi (Sprint Execution, -2,8%), il 22,6% alle attività pensate per coinvolgere più profondamente i dipendenti nei processi creativi (Creative Confidence, -4%) e il 14,6% si concentra sulla ridefinizione della visione strategica aziendale (Innovation of Meaning, +0,5%). “Di fronte alla grande mole di informazioni e di possibilità offerte dalle nuove tecnologie, il Design Thinking offre una chiave di lettura dei problemi, una guida che aiuta imprese e consumatori a cogliere ciò che è realmente di valore in un prodotto o servizio, e quindi a orientarsi nelle scelte –afferma Roberto Verganti, Responsabile scientifico dell’Osservatorio Design Thinking for Business -. L’importanza di questo approccio all’innovazione è ulteriormente cresciuta durante la pandemia, per la sua capacità di affrontare l’incertezza e la complessità analizzando i problemi e il contesto che li comprende da punti di vista innovativi e di riformularli per facilitarne la soluzione”.

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Fonte: Osservatorio Design Thinking

    Foto di copertina by Leon

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