Legal Tech: Intelligenza Artificiale e Proprietà Intellettuale

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Automazione e intelligenza artificiale si stanno imponendo con estrema e crescente rapidità in pressoché tutti i settori dell’economia, facendo registrare una marcata accelerazione anche in ambiti tradizionalmente più “conservativi” come, ad esempio, quello dei servizi legali.

Che cosa si intende per Intelligenza Artificiale

Intelligenza artificiale è un’espressione che, dal punto di vista tecnico, individua la capacità di una macchina di sostituirsi al ragionamento e al processo decisionale che caratterizza le azioni di un essere umano. L’elemento caratterizzante e innovativo, rispetto alla tecnologia tradizionale, risiede nel fatto che le macchine dotate di Intelligenza Artificiale non si limitano a supportare l’essere umano nelle attività prodromiche all’assunzione di una decisione ma tendono progressivamente a sostituirlo, collocandolo al di fuori del processo. L’IA, già oggi, è normalmente basata su tecnologie che sono in grado di acquisire, gestire ed elaborare un numero enormemente più grande di informazioni, rispetto a quello che può essere governato dal cervello di un singolo individuo. Si pensi alle applicazioni in ambito clinico, a quelle nel settore della mobilità, delle assicurazioni, delle traduzioni, della telefonia, dove ormai, anche il normale utente di questi prodotti o servizi si sta abituando ad interagire con dispositivi sempre più evoluti e nei quali risiedono componenti riconducibili alla nozione di IA. Anche in ambito legale sono già oggi operativi, ormai da alcuni anni, algoritmi in grado di compiere ricerche giurisprudenziali, di analizzare e verificare contratti e documenti societari, così come di fornire risposte a quesiti.

Intelligenza artificiale, nuova sfida per il settore legale

Se, quindi, da una parte l’IA sta assumendo un ruolo di partecipazione attiva all’interno di Studi legali, società di consulenza e, in alcune giurisdizioni, anche dei Tribunali, dall’altra parte, pone agli addetti ai lavori una serie di questioni interpretative non banali, dove le tematiche giuridiche devono spesso confrontarsi con implicazioni di natura etica e filosofica. Si pensi, ad esempio, agli algoritmi di guida autonoma degli autoveicoli cc.dd. “self driving” e alle implicazioni che discendono dalla programmazione del singolo dispositivo per l’eventualità di incidente non evitabile, laddove la macchina dovrebbe compiere una scelta orientata a minimizzare il danno. Il dilemma che si pone in questo caso si traduce nella necessità di prevedere e programmare quale possa essere il c.d. “danno minore” in condizioni nelle quali la scelta di programmazione umana imporrebbe la soluzione di questioni etiche, spesso insuperabili. Ci si è chiesti, ad esempio, quale sarebbe il danno minore rispetto al rischio di collisione tra due motociclisti, uno che indossa il casco e l’altro che non lo indossa. Il primo dovrebbe essere preferito come target della collisione per le maggiori chanches di sopravvivenza, nonostante il secondo violi una norma che impone di indossare il casco? Il dibattito su questi temi è, ovviamente apertissimo e non sembra destinato a trovare una soluzione in tempi brevi a livello normativo e regolamentare, anche considerando la necessità di opzioni legislative che, semmai saranno davvero trovate, richiederebbero di essere condivise a livello planetario. Ciò che, ad oggi è possibile affermare con certezza è che l’IA si è proposta come formidabile motore di innovazione tecnologica e, come tale, richiede adeguati strumenti di protezione e valorizzazione dell’attività inventiva che ne consente il continuo sviluppo e miglioramento.

Intelligenza Artificiale, come si tutela la proprietà intellettuale

I tradizionali strumenti resi disponibili dalle normative nazionali e internazionali, sono idonei a garantire un adeguato livello di tutela alle numerose “invenzioni” che includono o implementano applicazioni di IA? Sulla base dell’attuale quadro normativo che governa la proprietà industriale e intellettuale, a livello nazionale e internazionale, è possibile fare riferimento a tre differenti forme di tutele: (i) diritto d’autore; (ii) brevetto per invenzione industriale; (iii) segreto industriale.  

Diritto d’autore

Il diritto d’autore, storicamente, ha costituito la base normativa che ha aperto la via per la protezione dei programmi per elaboratore (il “Software); tale opzione è stata a suo tempo assunta dai vari legislatori anche sulla scorta di considerazioni molto pratiche, poiché era concreto (e in parte anche giustificato) il timore che gli uffici statali deputati al rilascio dei brevetti venissero investiti da un numero enorme di domande relative a dispositivi rispetto ai quali dotazioni, conoscenze e risorse di tali uffici erano spesso assai esigue. Anche da tale considerazione “pratica” è scaturito un vero e proprio impedimento normativo alla brevettabilità del software, equiparato dalla stessa Convenzione sul brevetto europeo (art. 52) ai metodi matematici, ovvero ai piani o metodi di business, così come alle presentazioni di informazioni.  

Brevetto per invenzione industriale

L’evoluzione tecnologica, così come quella del sistema brevettuale nel suo complesso, ha condotto ad un graduale ripensamento di questa impostazione, che oggi è possibile cogliere nella prassi e nelle linee guida dell’Ufficio Europeo dei Brevetti, secondo il quale le cc.dd. Computer implemented inventions sono brevettabili purché idonee a produrre un risultato tecnico concreto e tangibile, ossia allorché il software una volta caricato su una macchina è in grado di produrre un risultato tecnico che va oltre la normale interazione tra programma e computer. In applicazione di questi principi si è assistito, in particolare nell’ultimo quinquennio, ad un incremento esponenziale di brevetti che riguardano le tecnologie cc.dd. di “machine learning”, ossia proprio di quelle tecnologie in grado di insegnare alle macchine ad apprendere azioni e/o comportamenti umani, così come nell’ambito delle tecnologie cc.dd. neuronali e di riconoscimento a distanza. I settori con il più elevato impatto di brevetti relativi ad applicazioni di IA sono risultati essere quello delle telecomunicazioni; aerospaziale e medicale. Benché si stia assistendo ad una e vera e propria “corsa alla brevettazione” delle applicazioni di IA, occorre chiedersi se questa sia, in ogni caso, la forma di protezione più adatta per tali tecnologie, tenendo in considerazione alcuni fattori critici quali: (i) perdurante incertezza nell’individuazione e distinzione delle invenzioni brevettabili rispetto a quelle proteggibili solo con il diritto d’autore; (ii) rischi di divulgazione dell’invenzione senza ottenimento del brevetto e conseguente impossibilità di affidarsi alla tutela delle informazioni riservate; (iii) durata limitata del brevetto (20 anni); (iv) costi della procedura di brevettazione e di gestione dei brevetti. Un tema ancora connotato da un elevato grado di incertezza riguarda poi l’individuazione del soggetto titolare del diritto morale sull’invenzione e che deve essere individuato come “inventore”. Poiché l’IA è capace, o lo sarà in tempi relativamente brevi, di generare essa stessa attività inventiva senza alcun apporto umano, ci si domanda se un robot possa essere considerato “inventore” e, come tale, individuato in una domanda di brevetto (laddove tale qualifica è oggi riservata ad una persona fisica). Si tratterà, in altri termini, di verificare la disponibilità a modificare i principali strumenti normativi nel settore brevettuale (a livello legislativo locale e di convenzioni internazionali), prevedendo che anche persone giuridiche (quindi società), possano essere indicate nei brevetti come “inventori”, eliminando quindi necessariamente la nozione di “diritto morale” che non pare adattabile ad un robot. Peraltro analoga, forse ancor più urgente tematica, si porrà con riferimento alla produzione creativa, o financo artistica, proteggibile con il diritto d’autore, che sia frutto della attività di un algoritmo, anziché di una persona.

Segreto industriale

In antitesi alla tutela brevettuale si colloca quella assicurata alle cc.dd. informazioni confidenziali, ossia a quell’insieme di documenti, dati ed esperienze (tra i quali possono certamente rientrare i codici sorgente dei software), che formano il patrimonio immateriale dell’azienda e sono protetti attraverso l’adozione di misure volte a garantirne la segretezza. Se la tutela dell’IA attraverso il segreto aziendale reca con sé indubbi vantaggi quali i minori costi e la durata della protezione, sembra di poter oggi affermare che una siffatta forma di tutela, se posta a confronto con quella brevettuale, può rivelarsi limitativa soprattutto nelle operazioni di trasferimento tecnologico e nello sviluppo di programmi di licensing, che spesso sono la ragione principale degli sforzi economici e intellettuali di chi sviluppa nuove soluzione di IA, a livello di startup, come di multinazionali del settore digitale.

L’IA è una rivoluzione che va gestita

Sul piano operativo, nella creazione, nello sviluppo, gestione e circolazione degli asset immateriali, non sembra dubbio che l’IA sia destinata a modificare in maniera profonda il mondo della proprietà industriale e intellettuale, con strumenti che, se correttamente gestiti, potranno incrementare il valore degli intangibili, facilitando l’accesso alla tutela brevettuale anche di soggetti con minori capacità finanziarie, rendendo disponibili strumenti di ricerca sempre più affidabili e a costi ridotti, semplificando le operazioni di traduzione dei testi brevettuali e, in prospettiva, anche la stessa redazione, il deposito e la gestione amministrativa dei brevetti, così come delle altre privative industrialistiche (marchi e modelli) e dei diritti d’autore. Al contempo è verosimile ritenere che, proprio attraverso l’IA si possa arrivare ad ottenere applicazioni tecnologiche sempre più evolute, in grado di meglio individuare e gestire i segreti aziendali, coniugando l’esigenza di segretezza con quella di una loro rapida, sicura e profittevole circolazione nel mercato. Al contempo sarà possibile, come in parte già oggi accade, avvalersi di algoritmi sempre più evoluti per contrastare la contraffazione, in particolare nel contesto digitale e online. D’altra parte appare urgente predisporre adeguate previsioni normative, capaci di interpretare e prevenire le potenziali distorsioni che un utilizzo non adeguatamente e tempestivamente governato di queste tecnologie potrebbero causare, in particolare laddove tendessero, ad esempio, a costituire un sistema di controllo, verifica ed enforcement di matrice eminentemente privatistica ed automatizzato, come sarebbe quello nel quale un algoritmo proprietario decidesse ciò che può essere brevettato oppure ciò che costituisce violazione di un brevetto, di un marchio o di un’opera musicale. Senza dimenticare che l’IA, come già si è avuto modo di verificare, potrà essere strumento di formidabile efficacia nelle mani di chi, anziché adoperarsi per la protezione e la valorizzazione della proprietà intellettuale, preferisca violarla. Nel tentare di chiarire e dipanare le molte implicazioni che risiedono nel rapporto tra IA e proprietà intellettuale, potrà avere una sua utilità ricordare la prima legge della robotica di Isac Asimov secondo cui “un robot non può danneggiare l’umanità né, attraverso l’inazione, permettere che l’umanità venga danneggiata”. Avv. Massimiliano Patrini  Responsabile Dipartimento Proprietà Industriale e Information Technology dello Studio Gatti Pavesi Bianchi

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