Quale successo per la startup, il dilemma del founder

La seconda delle 7 celebri regole per avere successo di Steven Covey è quella di partire dalla fine. Vale a dire: avere ben chiaro quale sarà il punto di arrivo della nostra attività o azienda. Questa regola vale per tutti quelli che vogliono avere successo. Ma sembra creata apposta per il founder di una startup. Immaginate di fare un viaggio nel futuro di 5 anni. E di fare un salto negli uffici dove adesso andate tutti i giorni per realizzare il vostro progetto di azienda. Che cosa troverete? E’ bene avere chiaro quale destinazione finale avrà la vostra startup. Perché in base alla meta si ridefiniscono le priorità. Ci sono tre possibili mete per una startup (almeno nel nostro mercato). · La crescita esplosiva · La exit industriale · La sostenibilità industriale   Crescita Esplosiva Le startup che mirano e raggiungono una crescita esplosiva hanno alcune caratteristiche in comune. I founder sono leader visionari e determinati che aggrediscono un mercato ampio con una soluzione semplice, ma allo stesso tempo efficace. Affinché una crescita esplosiva sia possibile, ovviamente oltre al product market fit, è necessaria la disponibilità di importanti risorse finanziarie e industriali. Questo permette ai founder di impostare le KPI di riferimenti intorno alla crescita e non intorno al fatturato. Le startup che hanno una crescita esplosiva generalmente hanno una tag line sintetica ed efficace che ne riassume la visione strategica. Esempi: Dove Conviene > Il volantino digitale. Satispay > Paga con lo smartphone. In termini di cap table, le startup con una crescita esplosiva hanno i fondi di venture capital all’interno del board che alimentano non solo la spinta iniziale, ma anche i follow-on degli investimenti e mettono in campo risorse di ogni genere per spingerne la crescita. A livello tecnologico, infine, spesso ci sono importanti barriere d’ingresso, che rendono il business proteggibile. I fondi hanno bisogno di immaginare ritorni di investimenti con multipli importanti. Le startup che hanno una crescita esplosiva, hanno di solito un respiro internazionale. Startup da exit industriale Il Dilemma dell’innovatore di Clayton M. Christensen ha sdoganato un concetto molto importante. Le aziende strutturate e leader di mercato non riescono ad innovare. Per farlo hanno bisogno di acquisire organizzazioni più piccole e/o lanciare spin-off. Da qui l’ondata benefica di Open Innovation che vede i grandi gruppi industriali attivare programmi di incubazione, integrazione e acquisizione di startup. Il percorso di una exit industriale è oggi possibile. Le startup che si immaginano una exit industriale hanno caratteristiche differenti da quelle con una crescita esplosiva. Il business è spesso molto settoriale, specifico, può essere agevolmente pensato come una unità di un ecosistema più grande. Oppure in alternativa se il mercato è ampio, la soluzione funziona solo per una nicchia di mercato. I founder puntano a fatturare e a svilupparsi commercialmente. Hanno una visione più pragmatica. Sono leader di prodotto, più a loro agio con sviluppatori e clienti, che non con investitori e CDA. Quando il mercato è piccolo, troppo segmentato e la soluzione ha poche barriere d’ingresso, è difficile che i VC’s entrino nel capitale, questo rafforza il pensiero pragmatico dei founder che si trovano maggiormente orientati ad un modus operandi industriali. Tendenzialmente le exit industriali rappresentano il punto di arrivo di una parabola di crescita più modesta. Ma con una probabilità di exit positiva molto più elevata. Rappresentano l’uovo oggi invece della gallina domani. Startup che puntano alla sostenibilità In un certo senso questa casistica dovrebbe persino esulare dalla trattazione del tema startup. Ormai siamo abituati a pensare che le startup siano prodotti finanziari, che attraversano fasi progressive di round di investimento. La verità non è però questa. In Italia ci sono svariati esempi di (“ormai”) aziende, ex startup, che hanno raggiunto la sostenibilità economica, senza essere passati attraverso la sequenza finanziaria di seed e round vari. Come ad esempio Tanto Svago, oggi leader nel settore nel welfare. Le startup che puntano (e che raggiungono) alla sostenibilità economica di solito sono guidate da founder di grande esperienza nel settore in cui operano, con una fortissima propensione e fiuto commerciale. E un altrettanto forte sospetto per le operazioni finanziarie fini a se stesse. In termini di mercato, la soluzione coglie un’esigenza nascente del mercato. Le startup che raggiungono la sostenibilità hanno generalmente modelli B2B e fatturano dal giorno “zero”. Crescono tramite accordi, partnership e sinergie, piuttosto che con investimenti tecnologici o di marketing. La tecnologia serve per efficientare processi, piuttosto che per costruire un motore di crescita. La difendibilità del business è legata ad accordi commerciali “quadro” e di “esclusiva”, e all’essere “first mover” in un mercato che nessuno ha ancora aggredito. Le startup che puntano alla sostenibilità economica e la raggiungono sono mosche bianche, che escono dal dilemma dell’uovo e della gallina. Scelgono una coscia di pollo tutti i giorni.  

Pierluigi Casolari – Startupper, Imprenditore seriale, CEO di YoAgents

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