A che punto è l’Italia nella blockchain? Una panoramica dati

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La blockchain è oramai un tema caldo per l’innovazione aziendale. Negli ultimi mesi hanno visto la luce diversi report che provano a inquadrare la situazione, riportando diversi dati interessanti, per quanto non confrontabili, per le diverse metodologie d’indagine, le diverse tempistiche, e la stessa ‘spigolosità’ della materia. Un elemento che emerge evidente da tutte è che il mercato sia più maturo, ma per accelerare bisogna spingere ancora sulla cultura della blockchain. Vediamo più nel dettaglio i principali dati.

Sondaggio Ipsos “Dalle cryptocurrency al Made in Italy: l’immagine e le potenzialità della blockchain”

Nei giorni scorsi, in occasione della Blockchain Business Revolution, l’evento di Digital360 su vantaggi e rischi della tecnologia della “catena dei blocchi”, giunto alla terza edizione,  sono stati presentati i risultati del sondaggio realizzato da Ipsos per Digital360Dalle cryptocurrency al Made in Italy: l’immagine e le potenzialità della blockchain”, che ha focalizzato la sua indagine sulla percezione da parte delle persone in generale, e da parte delle imprese,  attraverso 850 interviste tra la popolazione italiana e 200 tra manager di aziende di diversi settori. Cosa è emerso? Secondo il termometro Ipsos, il 20%degli italiani è informato su cosa sia la Blockchain, il restante 17% ne ha sentito parlare ma non sa bene di cosa si tratti, il 62% non l’ha mai sentita. In ambito aziendale invece, la percentuale di chi conosce la tecnologia sale all’85%, con appena il 4% dei manager che non ne ha mai sentito parlare. Tra coloro che conoscono la blockchain,  prevale la consapevolezza che si tratti di un’opportunità: il 53% della popolazione italiana la ritiene importante per sé e per la propria vita, il 68% per lo sviluppo economico del Paese.Le caratteristiche più associate alla blockchain per gli italiani sono principalmente la trasparenza, la sicurezza, l’apertura e la velocità. Nell’opinione della popolazione, la Blockchain è utile in particolare per le transazioni monetarie e finanziarie (secondo il 43% degli intervistati), per la cyber security (33%), per la burocrazia e pubblica amministrazione (29%). Tra i manager d’azienda, addirittura, il 72% ritiene che la Blockchain sia importante per la propria vita, il 79% la giudica importante per lo sviluppo economico del Paese. Anche per i manager, la blockchain può trovare importanti applicazioni, in ordine, nelle transazioni monetarie e finanziarie (71%), nella supply chain e distribuzione (50%), nella burocrazia (47%). “La blockchain è ormai uscita dalla fase delle promesse per diventare una realtà per il business – dice Andrea Rangone, Ad di Digital360 -. È positiva la crescita di interesse e di consapevolezza tra gli italiani che lascia presagire un’ulteriore spinta nel prossimo futuro. Anche se ancora pochi hanno compreso fino in fondo il grande potenziale che è in grado di esprimere in termini di creazione di nuovi modelli di business, come uno dei pilastri della rivoluzione digitale. Il ruolo delle istituzioni e della politica su questi temi è estremamente importante: è positivo che il nostro paese sia tra i primi a disciplinare a livello giuridico gli smart contract e ad avviare un processo di regolamentazione. Ed è significativa l’iniziativa del Mise che ha fatto partire due gruppi di esperti dedicati a Blockchain e Intelligenza Artificiale, per favorire lo sviluppo della conoscenza e di applicazioni concrete”. Per approfondire, leggi l’articolo di EconomyUp.  

Indagine Osservatorio Blockchain & Distributed Ledger  “Blockchain in Italia e nel mondo: verso l’Internet of Value”

La ricerca dell’Osservatorio Blockchain & Distributed Ledger  della School of Management del Politecnico di Milano, offre uno spaccato internazionale dello scenario blockchain, individuando anche il posizionamento del nostro Paese nello scenario europeo e mondiale, focalizzandosi sulla mappatura dei progetti.

Sono 579 i casi di applicazione della Blockchain censiti a livello globale, nel triennio 2016-2018, di cui 328 nel solo 2018 (+76%), segno evidente dell’accelerazione di un passaggio dalla ‘discussione’ sulla tecnologia a una sua traduzione in pratica. E’ però anche evidente che in ambito blockchain, tra il dire e il fare c’è di mezzo … parecchio fumo o forse è solo complessità e tempistiche che non sono brevissime: fra i casi del 2018 il 59% sono annunci (192, +94%), il 27% sono prototipi o progetti in fase di Proof of Concept (90) e soltanto il 14% sono progetti operativi (46). I progetti operativi sono tuttavia il gruppo di casi col tasso di crescita più elevato, dai sei del 2017 ai 46 del 2018.

L’area con la più alta densità di casi di applicazione nell’ultimo triennio è l’Asia, col 32% dei progetti, seguita da Europa (27%), America (22%) e da Oceania e Africa (5%), mentre il restante 14% è costituito da progetti multi continentali. Gli Stati Uniti, invece, guidano la classifica dei singoli paesi con più progetti (17%), seguiti da Giappone (oltre il 7%), Cina (7%), Regno Unito (4%) e Corea del Sud (4%).

Anche l’Italia registra un forte fermento e si posiziona per numero di progetti al terzo posto in Europa, dopo Regno Unito e Germania. Nel nostro Paese sono 19 i progetti Blockchain che hanno avuto visibilità mediatica, ma i casi sono oltre 150 se si considerano anche formazione e consulenze, per un totale di 15 milioni di euro investiti in questa direzione. 

Nel 2018 le aziende italiane hanno speso in tecnologie Blockchain e Distributed Ledger circa 15 milioni di euro, con 150 casi suddivisi fra corsi di formazione e consulenza strategica per comprendere modalità e ambiti applicativi di questa tecnologia (50, avviati da imprese che devono ancora orientarsi sul tema), consulenze per conoscere le diverse piattaforme e sviluppare progetti pilota (80, attivati da aziende che hanno già una conoscenza di base della Blockchain), progetti operativi (10) e ICO (Initial Coin Offering, 10 casi attivati da startup). Fra questi soltanto 19 hanno avuto visibilità mediatica. Al momento le aziende che investono in progetti di Blockchain e Distributed Ledger sono solo quelle di grandi dimensioni e le startup che cercano supporto operativo nella realizzazione di ICO.

Il mercato è ancora agli albori e la stessa conoscenza del tema è ancora superficiale e poco compreso:  da un sondaggio su 61 Chief Innovation Officer di grandi imprese italiane emerge che il 59% delle aziende ha avviato sperimentazioni o è in procinto di avviarne, ma gli investimenti sono ancora limitati (15 milioni di euro in formazione, progetti e consulenze) e il 59% non ha un budget dedicato. Solo il 26% dichiara una conoscenza elevata della “catena dei blocchi”, il 31% non sa ancora cosa sia; soltanto per il 32% sarà una rivoluzione e appena il 2% dei CIO la considera una priorità.  Le aziende più attive nell’ultimo triennio sono gli attori finanziari (48% dei progetti), le pubbliche amministrazioni (10%) e gli operatori logistici (8%), mentre i principali processi di applicazione sono la gestione dei pagamenti (24%), la gestione documentale (24%) e la tracciabilità di filiera (22%). “La tecnologia Blockchain è molto maturata in questo ultimo anno, grazie anche agli sforzi della community di sviluppatori per far evolvere le piattaforme di Distributed Ledger che compongono l’Internet of Value, un sistema che permette lo scambio di beni di valore senza intermediari e in modo programmabile attraverso i cosiddetti smart contract – afferma Francesco Bruschi, Direttore dell’Osservatorio Blockchain & Distributed Ledger -. Oltre a Bitcoin (nata nel 2008 dal famoso paper di Satoshi Nakamoto), ve ne sono oltre 800 con caratteristiche differenti. Lo sviluppo di una moltitudine di piattaforme può suscitare una domanda: quale di queste prevarrà, nel lungo termine? In questo scenario, molte piattaforme di scambio di valore coesisteranno, insieme ai rispettivi token, che verranno utilizzati per finalità diverse (ad esempio, bitcoin per lo store of value, ether per gli smart contract, monero per le transazioni private)”.

Indagine Cefriel-Ibm “Quali sono le opportunità della blockchain al di là del settore finanziario? “

Anche questa indagine riguarda il panorama mondiale con focus sull’Italia e prende in esame soprattutto gli investimenti e i settori di applicazione che maggiormente possono trarre beneficio. Il primo dato che sottolinea questa indagine è ottimistico e vede il nostro Paese piuttosto dinamico in ambito blockchain: gli investimenti sulla tecnologia  stanno crescendo al ritmo dell’80% l’anno e nel 2020 saranno quintuplicati, toccando i 92 milioni di euro rispetto dai 16 milioni del 2017. La spesa italiana è allineata a quella europea: i 162 milioni di euro del 2017 diventeranno 3,07 miliardi nel 2022 mentre a livello mondiale si passerà dai 735 milioni di dollari circa del 2017 a 12,4 miliardi di dollari entro il 2022 con un tasso di crescita annuo del 76%. Solo nel 2018, il volume degli investimenti finanziari in questa tecnologia a livello mondiale ha raggiunto il record di 2,85 miliardi di dollari per una crescita annua del 316%, laddove nel 2017 gli investimenti erano arrivati a quota 900 milioni di dollari. Nel report si mette in evidenza come la blockchain oltre a una generale applicabilità a tutti i settori e indubbia vocazione per il finanziario, possa innovare profondamente anche contesti come energy, media e telco. Questi settori a livello internazionale e nazionale presentano elevati tassi di crescita di spesa in direzione blockchain, e stanno effettivamente sperimentando con progetti, ad esempio facendo ricorso a piattaforma blockchain per la tracciatura dei contenuti pubblicitari digitali nel settore media; con la creazione di una piattaforma di clearing and settlement basata su blockchain per le Telco; con piattaforme di scambio energetico sia a livello nazionale che tra peer-to-peer per il settore dell’energia. Aggiunge Massimo Chiriatti, CTO Blockchain di IBM Italia, che “vi è un certo grado di interesse e curiosità nei confronti della blockchain (come dimostrato dalla presenza di studi e sperimentazioni), ma le imprese non sembrano ancora riconoscerla come una priorità di investimento per l’innovazione digitale. Tra le motivazioni sembrano esservi da un lato una carenza culturale delle imprese italiane sul tema e dall’altra la difficoltà nell’affrontare un paradigma nuovo che impatta le organizzazioni non solo a livello tecnologico ma anche organizzativo”.      

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