“Il nostro è un modello di call che possiamo definire inclusivo, sostenibile ed etico: mettiamo sullo stesso piano la grande azienda e l’innovatore, con rispetto dei tempi, dei bisogni, della cultura di una e dell’altra parte, senza privilegiarne alcuna, in una logica win-win e di mutualità. La grande azienda può permettere accesso a nuovi e importanti mercati, ma l’innovatore spesso possiede il segreto che le permette di accrescere la propria competitività. Partendo dai bisogni dell’industria, pensiamo in questo modo di avere comunque il giusto rispetto per il lavoro e il valore che le startup portano con sé.” Così Giovanni Maria Volpato, Direttore Operativo di Fondazione R&I – realtà attiva nella open innovation con il bando Tech UP – mette in evidenza l’approccio culturale con il quale da alcuni anni Fondazione risponde a quel diffuso bisogno di innovazione del sistema economico e industriale italiano. Tech Up, che quest’anno ha presentato la sua seconda edizione dopo quella del 2016, è una call con una barriera di accesso piuttosto alta: è sufficiente visitare il sito e vedere come è stata strutturata e articolata, e quali sono state le richieste, per rendersene conto.
“Nel 2016 abbiamo avuto risultati incoraggianti, avendo ricevuto una sessantina di proposte, che non sono poche considerata l’elevata asticella di partenza e la specificità delle richieste. Nel bando di quest’anno abbiamo affrontato dei task ancora più ambiziosi, che vogliono andare a scovare l’eccellenza nella logica di ampliare il mercato tecnologico di riferimento delle nostre grandi imprese” spiega Volpato, aggiungendo che “la call è stata dedicata al nostro Paese, ma che in prospettiva potrebbe guardare anche all’estero”. Il target di riferimento di Tech UP sono Spin-off, Startup e PMI innovative, Docenti e Team di ricerca, PhD, Dottorandi e Laureandi in STEM, nonché Professional con comprovata esperienza di settore ed è proprio per questo che il roadshow di presentazione si è svolto laddove gli innovatori si annidano. “Il nostro roadshow si è svolto in alcune delle principali piazze scientifiche, Università e Centri di Ricerca del Paese ed è andato molto bene. Abbiamo riscontrato ovunque attenzione, interesse, corrispondenza, sia dalla parte accademica che da quella rappresentativa del mondo dell’innovazione. È stata un’esperienza professionale ed umana di assoluto rilievo, con vicendevole arricchimento e notevoli scambi di conoscenze, che si stanno traducendo in un gran numero di proposte progettuali” sottolinea ancora Volpato. Ma quali sono i vantaggi di questo modello di open innovation, quasi una forma di ‘startup on-demand’? “Un vantaggio fondamentale è che la grande impresa segue quasi in real time tutta l’evoluzione della call. Dalla grande impresa noi abbiamo raccolto il bisogno, ragionandoci insieme, e lo abbiamo organizzato nella formulazione da proporre al mercato degli innovatori. I referenti delle industrie ci hanno spesso accompagnato nel roadshow, testando sul campo cosa offrano Università e Centri di Ricerca e creando un adeguato appealing già in questa sede. La grande impresa ci affiancherà poi nella selezione delle proposte meglio rispondenti ai loro interessi e da portare in accelerazione, intervenendo con noi, laddove necessario, sulla modellistica, il business planning, le skill manageriali piuttosto che quelle tecniche-scientifiche dei proponenti stessi. Le industrie saranno poi le principali interpreti della fase finale del programma, indagando in profondità in incontri one to one le proposte migliori, approfondendone poi nel dettaglio il potenziale con le strutture interne preposte, al fine di valutare possibili forme di integrazione, partenariato, commessa e via dicendo”. “Tra le startup accelerate con il bando 2016, ce ne sono diverse che tuttora collaborano con le imprese che le avevano individuate per l’accelerazione” aggiunge Volpato “altre stanno crescendo per strade indipendenti anche grazie ai servizi offerti da Fondazione R&I. In generale, direi che il tasso di sopravvivenza delle realtà che hanno fatto il percorso è piuttosto buono rispetto alla media nazionale”. Fare innovazione, fare startup non è una passeggiata a qualunque latitudine, ma certo in Italia, ecosistema giovane, mancano ancora tasselli affinché dalla ricerca, al trasferimento tecnologico, alle leve finanziarie, al mercato, l’innovazione possa fluire e avere impatto. La trasformazione digitale e l’industria 4.0, d’altra parte, rendono urgente per la grande impresa rivolgersi alla open innovation per accelerare i processi di rinnovamento e rimanere competitiva. Fondazione R&I è nata con la missione di attivare relazioni sinergiche tra gli attori chiave del sistema dell’innovazione, con forme di collaborazione tra grandi imprese, istituzioni scientifiche, nuove imprese innovative e investitori di venture capital. È una realtà che ha stabilito solide relazioni e un modello ben preciso di trasferimento tecnologico. Ma il nostro ‘sistema paese’ cosa può fare per favorire l’open innovation? “Ci sono alcuni aspetti caratteristici, – conclude Volpato – sui quali ci ripromettiamo anche noi di lavorare. Per esempio quello di migliorare l’approccio imprenditoriale, la cultura del mettersi in gioco e del prendere in considerazione uno sbocco professionale di questo genere, magari grazie al concorso e ad adeguate garanzie poste dalle organizzazioni di cui già si fa parte. Altro fattore su cui si può lavorare è la rapidità e l’efficacia nella trasformazione di un’idea in un proof-of-concept che possa essere preso in considerazione da un’impresa e, qualora risponda alle aspettative, se ne faciliti l’industrializzazione con appositi strumenti operativi e finanziari.” Maggiori informazioni sul modello di open innovation di Fondazione R&I e la call Tech Up a questo indirizzo web. Donatella Cambosu© RIPRODUZIONE RISERVATA