Comunicazione, come la vede la startup ToEffect

Vi è mai capitato di tornare in un luogo della vostra infanzia – una stanza, un cortile, una scuola – e scoprirlo assai più piccolo di come ve lo ricordavate? Negli ultimi anni sta accadendo la stessa cosa nel mondo della comunicazione. Ci ritroviamo a muoverci nei consueti spazi del branding e del marketing ma, improvvisamente, questi spazi ci appaiono scomodi, se non proprio angusti, inaspettatamente limitati e limitanti. E malgrado le praterie e le immense vallate spianate dalla nascita dei social network ci ritroviamo a boccheggiare, sgomitando tra la folla, in cerca di quelle boccate d’aria fresca e ossigenata che chiamiamo visibilità, posizionamento, riconoscibilità. Il fatto è che la rivoluzione social del web 2.0 ha modificato la nostra percezione del mondo, da un lato facendo crescere le nostre aspettative di relazione con il pubblico (che adesso chiamiamo rete) e dall’altro favorendo un libero e diffuso accesso ai nuovi canali della comunicazione, tanto che adesso, per tornare all’esempio iniziale, la nostra scuola d’infanzia ci appare più piccola non solo perché siamo più grandi noi, ma anche perché è molto, molto più affollata. Quando abbiamo deciso di fondare ToEffect, lo abbiamo fatto perché c’eravamo improvvisamente accorti che, nel mondo della consulenza, nessuno (o quasi) sembrava essersi accorto di questi mutamenti, continuando a proporre soluzioni vecchie per (tentare di) risolvere problemi nuovi. Soprattutto, nessuno sembrava essersi accorto che questi mutamenti non hanno cambiato solo il modo in cui comunichiamo, ma anche il cosa. Ed è strano, per una generazione di consulenti cresciuta ripetendo la massima di McLuhan “Il medium è il messaggio”. Questo apparente ritardo nel comprendere i mutamenti in atto è evidente anche nella comunicazione pubblica, dove addetti stampa e consulenti ancora si affannano per tenere distinta la propria dimensione “istituzionale”. Nel frattempo, però, sindaci, parlamentari, ministri e capi di stato di superpotenze economico-militari comunicano tra loro e col mondo con un semplice tweet. Sembra quasi che questi cambiamenti, avvenuti forse in fretta – e ancora in atto – ci abbiano stordito e molte agenzie di comunicazione sembrano soffrire di una sorta di sindrome post traumatica da shock. Per far questo, parlare di storytelling non è sufficiente. Bisogna diventare  storytelling. Far agire i canali di comunicazione come se fossero un corpo unico che si ramifica – come un albero – nelle due direzioni dell’input (radici) e dell’output (chioma). Smettere di concepire la comunicazione come la fase finale di un processo produttivo, come se servisse a incartare e infiocchettare un prodotto pronto per essere venduto, e iniziare a trattarla come parte naturale dello stesso processo produttivo ed evolutivo di un’azienda, di un’organizzazione, viva e presente in ogni sua fase. Partendo da una prospettiva del genere ToEffect è una startup nata per le startup, sue naturali interlocutrici: un attore che si affaccia per la prima volta sul mercato ha più di chiunque altro la necessità di comunicare a 360 gradi la propria visione, l’idea con cui spera di ispirare positivamente la vita e il lavoro delle persone alle quali ha scelto di rivolgersi. Un terreno fertile per chi ha messo insieme professionisti e creativi d’esperienza che operano in tutti i campi della comunicazione con un’idea: quella di farli lavorare assieme in un modo, se mi consentite questo piccolo prestito new age, olistico. Per produrre consulenze su misura. L’idea è quindi quella di passare dal tailor-made a quello che potremmo chiamare sailor-made: ideare e costruire imbarcazioni per viaggiare sul mare della comunicazione, del branding e dello storytelling management. L’innovazione nella comunicazione d’impresa è sempre più un carattere distintivo per le startup, soprattutto per quelle che innovano nei settori business to consumer, che operano nel fashion-tech, nel food-tech, nel design-tech ma il proporsi in modo nuovo è un valore che tutti devono cercare di perseguire ed è perciò che, così come accade in tutti i settori oggi, anche in quello della comunicazione e delle PR serve una ventata di innovazione sostanziale, ventata che può arrivare sia dalle startup del settore, lo possiamo chiamare communication-tech o PR-tech volendo; sia dalle agenzie e dai professionisti che già operano in questo ambito ma che stanno iniziando a comprendere come è fondamentale uscire da dinamiche che si sono ormai atrofizzate sia perché sono cambiati i contenuti, sia perché è cambiato l’approccio ma anche perché è cambiato il modo con cui i mezzi di comunicazione, che in misura profonda si sono rivoluzionati a seguito dell’avvento di internet e dei media che su essa si sviluppano, lavorano.   Contributor: Fabrizio Checchi, fondatore e Ceo di ToEffect  

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