Google vs. Uber, storia da film. Cosa c’entra con le elezioni 2018

Si è aperto a San Francisco un processo tra titani che farà storia, quello di Google contro Uber, accusata di sottrazione di segreto industriale, richiesto un miliardo di dollari di risarcimento.

Il pomo della discordia è costituito da 14mila file relativi a 8 segreti industriali sullo sviluppo dell’auto autonoma Waymo (Google) da parte di un certo Levandosky, il solito studente prodigio, prima ingegnere a Google sullo sviluppo driverless car, poi dimessosi per fondare una propria startup focalizzata sullo sviluppo di tecnologia di guida autonoma per mezzi pesanti, i ‘truck’, chiamata Otto, acquisita dopo qualche tempo proprio da Uber.

In sintesi, l’accusa da parte di Google si basa, per quanto ne sappiamo adesso, su una ricostruzione dei fatti abbastanza verosimile, si vedrà nel proseguio del processo quali prove dibattimentali saranno portate: il giovane e affamato Levandosky, originariamente d’accordo con Travis Kalanick (fondatore ed ex Ceo di Uber) mentre lavora in Waymo salva per suo uso e consumo circa 14 mila file riguardanti il progetto driverless car e poi si dimette. Chiude la porta Google ed apre la sua startup, Otto: iniziativa strategica e di comodo, secondo questa ricostruzione, che permette intanto di cominciare a ripulire i brevetti e progetti sottratti e fare talent acquisition. Infatti in breve arriva Uber e l’acquisisce, come da copione.

Non fa una grinza. Poi però qualcosa comincia ad andare storto, perché anche i bravi ragazzi di Waymo non sono poi così fessi e la partita della ‘driverless car’ è qualcosa che sta davvero molto a cuore a Larry Page in persona.

E dalle prime testimonianze rese ieri che hanno visto protagonista Kalanick, sembra quasi che  alla base di tutto questo trambusto ci siano delle motivazioni molto personali, sentimenti come avidità, risentimento, gelosia. Travis dice che un tempo c’era un bellissimo rapporto tra Google e Uber (2013, tempi dell’investimento da 258 milioni di dollari del colosso di Moutain View in quella che era una gran bella startup) un rapporto fraterno, anche tra lui e Page, che lo aveva portato a fare un giro su un prototipo di driverless car e con il quale si erano subito intesi sul futuro della loro collaborazione su questo fronte. (fonte CNBC)

Ai tempi, testimonia Kalanick, ‘non c’era competizione tra noi: Google lavorava sui veicoli autonomi e noi sul ride-sharing’.

Le cose si fermano lì, fino a che nel 2015 Kalanick non comincia a sentire pettegolezzi sulle intenzioni di Google di realizzare una flotta di taxi a guida autonoma, diventando in questo modo suo diretto competitor!

I tentativi di contatto con Page per avere chiarimenti su questo sconfinamento di mercato sono incessanti per Travis, ma inutili. Viene completamente ignorato dal gran capo. In questo articolo vengono mostrate alcune mail.

Una cosa molto irritante essere ignorati in questo modo, che fa scattare soprattutto la gara ad arrivare primi sul ride-sharing a guida autonoma. Uber comincia ad accelerare sul suo progetto , avvia una forte campagna di acquisizione di talenti, compresi diversi da Waymo, fatto che fa arrabbiare moltissimo Larry Page. Insomma la guerra è cominciata. L’acquisizione di Otto è una bomba innescata.

Vedremo come procederà il processo, una cosa certa: sembra già una storia da film, gli ingredienti ci sono già tutti, non c’è nulla da inventare.

E cosa c’entra con le nostrane elezioni 2018?

Direttamente nulla, ma sta di fatto che il caso offre diversi spunti di riflessione sull’avanzata delle tech company, sul legame tra tecnologia e potere, su come cambia il volto del potere, con la tecnologia.

Nel processo Kalanick dice di aver anche una volta scritto amichevolmente a Larry Page  per assicurargli di non avere nessuna intenzione di lavorare allo sviluppo di ‘flying cars’, settore in cui Page in persona ha già investito parecchio. (fonte ArsTechnica)

Insomma, stiamo parlando di macchine volanti, di auto che si guidano da sole; ampliando il discorso, possiamo aggiungere le Tesla in volo verso Marte, la robotica avanzata, l’intelligenza artificiale che è già arrivata a frontiere che la maggior parte delle persone nel mondo non immagina nemmeno. Tutto questo è concentrato principalmente in mano private per lo più, e per lo più dall’altra parte dell’oceano o in Paesi diversi dall’Italia. E’ altrove che si concentra il nuovo potere.

Indossando le lenti di questo futuro, che non è lontano ed è una certezza, tutto quello che si sta vedendo in Italia in questa campagna politica sembra molto miope.

La parte più avanzata del mondo, in cui ci sarebbe anche l’Italia, sta marciando ad una velocità incredibile e puntando tutto sullo sviluppo tecnologico. Lo sviluppo tecnologico è potere. L’innovazione, veloce, è potere. Bisogna capirlo in Italia questo discorso, l’innovazione va rimessa al centro di tutto, con tutti i suoi corollari di net neutrality, connettività ultra veloce, supporto alle startup, digitalizzazione vera del paese, scuola e formazione, politiche per i giovani, sburocratizzazione, non in un capitoletto sfigato dei programmi elettorali.  Son temi che vanno messi al centro anche perché bisogna dare un’etica all’impatto tecnologico.

Invece, mentre qualcuno sta già organizzando il turismo spaziale, noi siamo qui a pettinar le bambole.

E’ necessario oggi, anche come cittadini, affrontare il voto con un diverso stato d’animo: dobbiamo guardare a cosa accade nel mondo per fare una scelta migliore su chi andare a votare in Italia. In questi ultimi anni l’Italia è arretrata sotto molti aspetti e adesso dobbiamo recuperare gap e pensare a come vogliamo che sia il nostro futuro, per noi e quelli che verranno; dobbiamo scegliere se come Paese vogliamo protagonisti o semplicemente subire una realtà scelta da altri.

  Donatella Cambosu

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