Le scelte messe già in atto da Trump e quelle in programma rispetto all’immigrazione, potranno forse trovare argine nelle tech company statunitensi. E’ noto che la Silicon Valley è figlia di quella cultura dell’accoglienza (coi limiti che non si discuteranno in questa sede) rispetto agli stranieri che ha sempre caratterizzato gli States: il sogno americano è sempre stato aperto a tutti. Da Steve Jobs che era di origine siriana, ai Brin e Page di Google, da Elon Musk allo stesso Peter Thiel (tedesco, un pò nazi, straniero ma di serie A, che ha sostenuto Trump), gli immigrati hanno giocato un ruolo fondamentale nella crescita dell’industria tecnologica del Paese che ha dato vita alle più importante società tecnologiche al mondo. Un’organizzazione indipendente chiamata National Foundation for America Policy ha pubblicato lo scorso marzo uno studio intitolato “Immigrants and Billion dollars startup” in cui si mettono insieme una serie di dati per dire che gli immigrati hanno contribuito almeno per il 51% alla fondazione delle società che fanno parte del cosiddetto billion dollars club, cioè quelle ex-startup che hanno superato il miliardo di dollari di fatturato e creano migliaia di posti di lavoro qualificati. La percentuale di immigrati cresce e arriva al 71% se si considerano non solo i fondatori ma le persone che rivestono ruoli chiave nell’azienda. Il valore collettivo delle 44 aziende fondate da immigrati è $ 168.000.000.000, quasi la metà del valore dei mercati azionari della Russia o del Messico. Lo studio riporta le liste di queste società, i nomi dei fondatori, da quali Paesi stranieri arrivano e perchè sono entrati negli States, quanti posti di lavoro hanno creato. Un documento importante anche per gli osservatori esterni, dunque, in un momento storico come quello che vive oggi l’America, in cui il nuovo presidente intende dare più che un giro di vite alle politiche e alla legislazione che regolano l’ingresso nel Paese di cittadini stranieri. Già in queste prime settimane di presidenza è riuscito a emanare un decreto shock che ha portato milioni di cittadini americani a occupare gli aeroporti per protestare contro la sospensione all’ingresso negli Stati Uniti dei rifugiati e dei cittadini con passaporto di sette Paesi a maggioranza islamica. Un decreto che ha lasciato basito mezzo mondo, oltre che il popolo americano, e ha lasciato basiti anche i grandi founder ed executive delle tech company, persino i grandi nemici hanno trovato un terreno comune nella “rivolta” a Donald Trump. Apple, Microsoft, Google, Facebook hanno inviato una lettera al presidente, riportata qui da Recode, una lettera con non fa giri di parole per ricordare lo spirito americano e inizia dicendo:
Fin dalla sua nascita, l’America è stata una terra di opportunità, che ha accolto nuovi arrivati e dato loro la possibilità di costruire qui le loro famiglie, la loro carriera, il loro lavoro. Siamo una nazione resa più forte dagli immigrati. Come imprenditori e dirigenti di azienda la nostra abilità nel far crescere le nostre società e creare lavoro dipende dal contributo di immigrati di ogni possibile estrazione.
La lettera tocca 3 punti sostanzialmente: il danno al business delle tech company portato da restrizioni sui visti d’ingresso nel paese; il rispetto del valore americano della compassione e del U.S. Refugee Admissions program; il rispetto del programma Deferred Action for Childhood Arrivals (DACA) dedicato ai minori che entrano nel paese senza documenti. Molti altri tech leader si sono esposti sui media e su twitter contro il decreto Trump, come riporta Reuters. La preoccupazione è davvero alta, anche perché i prossimi passi potrebbero essere rivolti all’irrigidimento (come promesso in campagna elettorale) del H-B1 visa program, cioè la procedura per ottenere il permesso di lavoro, che secondo Trump e i suoi sostenitori permetterebbe un ingresso esagerato di professionalità dall’estero, preferite dalla società perché, secondo loro, hanno un costo inferiore. Bloomberg ipotizza che la prossima mossa di Trump vada proprio in questa direzione e pubblica alcuni passaggi del disegno di legge che potrebbe essere approvato proprio nei prossimi giorni, e che getterebbe nel caos le assunzioni presso le tech company imponendo ai datori di lavoro di assumere sempre preferibilmente un lavoratore US piuttosto che uno estero a parità di competenze. L’impatto che ciò potrebbe avere è facilmente immaginabile osservando l’infografica qui di seguito realizzata da Statista, che indica quante richieste di visa a fine 2016 risultavano in ballo e quindi “a rischio” se Trump andrà avanti nella linea dura. d.c
© RIPRODUZIONE RISERVATA