Perchè si fonda una startup e perchè non è solo per nerd

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La startup e le sue anime

Le startup partono da un’idea e un’idea, in questo momento di forte cambiamento paradigmatico, può essere certamente di tipo tecnologico (e quindi magari anche ricadere nei parametri della bizzarra legge sulle startup che abbiamo in Italia), ma anche capace di rinnovare un ambito, un settore più tradizionale. Quindi a volte l’idea può essere vecchia come il mondo: si fa impresa con una pizzeria, che con il tempo magari diventerà una catena di franchising, si fa impresa con il cibo magari venduto sul web anziché alla bancarella del mercato rionale. In più, tutti quelli che hanno messo un minimo le “mani in pasta” sanno che l’idea è necessaria ma non sufficiente, è infatti l’execution, quindi la capacità di trasformare l’idea in impresa, a fare la differenza. Per realizzare un’idea bisogna curare i vari aspetti del fare impresa e del relativo business model, ma soprattutto bisogna stare sul mercato e seguirne, se non anticiparne, le evoluzioni e le trasformazioni. È possibile quindi non essere dei tecnologi o degli scienziati e, per esempio, portare in Italia il concept di un negozio visto ad Amsterdam e farlo evolvere per creare il più grande negozio di musica classica a Milano come sta facendo Nicola Kitharatzis di MAMU. ‘Sta facendo’ perché l’idea originaria si realizza pezzo per pezzo. Non si pianifica tutto per poi partire, ma si parte da un nucleo, si monitora il mercato e si fa un passo alla volta.  

Gli startupper non solo solo i giovani

Gli startupper non sono necessariamente giovani. Non facciamoci sviare dell’esplosione delle app, dell’e-commerce ecc. Non sono solo queste le startup. Non sono solo i ‘nerd’ a fare startup. Molte persone che hanno percorso una buona parte della loro carriera professionale alle dipendenze di un’azienda o una organizzazione, possono effettivamente spiccare il volo, operando sia nello stesso mercato o cambiando completamente settore. Possono rimettersi in gioco per riacquistare soddisfazione nel lavoro o per fare finalmente qualcosa che dia senso alla vita e di cui si sente sempre più l’esigenza man mano che si raggiunge la maturità. La startup non è quindi roba per giovani in senso anagrafico, ma per ‘giovani’ d’animo. Cosa significa? Vuol dire avere alcune caratteristiche peculiari della gioventù: energia, anche sfrontatezza, apertura mentale, intraprendenza, un po’di idealismo, disprezzo delle regole aride, obsolete e senza senso. È difficile mantenere questa energia a 50 anni? Ci sono persone che non l’hanno neanche a 20. Nicola di MAMU ha superato i 40 anni e ha avviato MAMU nel settembre 2015.

 

La startup non è il refugium dei disoccupati

In anni di difficoltà economica, culturale, valoriale come quelli che stiamo attraversando non si può negare che il mondo del lavoro e le sue dinamiche ne siano profondamente colpiti. Il mercato è stato quasi fermo per anni, senza possibilità di osmosi tra i vari comparti. Ne hanno risentito molti, quasi tutti indirettamente. Chi non ha un amico o un conoscente che non ha dovuto affrontare un cambio di lavoro di qualche tipo? Chi avvia una startup non è necessariamente un giovane che non trova lavoro, una donna che viene espulsa dal mercato perché diventata madre, un senior manager che è ormai troppo caro per l’azienda di cui ha contribuito a fare la fortuna nei decenni scorsi. Ci sono giovani seri nei confronti di se stessi e della vita che dopo un curricula accademico di tutto rispetto (qui a Milano è facile incontrarne) e qualche anno di professione anche qui ben impostata, per esempio in uno bello studio legale di diritto commerciale internazionale, semplicemente non se la sentono di accontentarsi di quello che stanno facendo e si lanciano nell’impresa. Posso fare nomi e cognomi: Federico Pastre di Lorenzo Vinci per esempio. Federico è un esempio di giovane serio verso se stesso e la sua vita che non ha voluto ‘sopravvivere’ in una professione per cui ha studiato e ha iniziato bene come quella dell’avvocato di diritto commerciale internazionale in uno dei migliori studi di Milano, ma con un amico ha cercato e trovato la sua via nel fare impresa. Ora si occupa di cibo con il sito di e-commerce Lorenzovinci.it, ma quello che lo contraddistingue non è tanto la passione per il cibo ma gli interessa proprio la sfida del fare impresa. Ha avviato una startup pur essendo un giovane avvocato di successo e non un giovane senza lavoro. Ci sono donne che è vero che sono state estromesse dal mondo del lavoro. Del resto la crisi la pagano prima le donne, anzi le ‘madri di due figli’ secondo le statistiche in Italia, e allora? Avrebbero potuto rimettersi a lavorare in un’azienda, invece non l’hanno fatto. L’apparente fallimento è stato la molla che le ha portate a creare impresa a partire magari da competenze maturate in anni di azienda e di aggiornamenti professionali. Sto parlando di Carmen Bobbiesi di PerSEOweb. Carmen ha colto proattivamente un momento di empasse legato alle difficoltà dell’azienda e del mercato in cui lavorava per ripensarsi e provarci. Ha approfittato di un bando della Camera di Commercio di Monza Brianza per l’imprenditoria e poi della possibilità di essere valutata da Reseau Entreprendre Lombardia e passo dopo passo sta costruendo con un’altra donna madre ex dipendente di multinazionale un’azienda che dà già da lavorare a diverse persone ed è padrona di se stessa, del suo tempo, della sua professionalità, della sua famiglia. Oppure ci sono delle persone che fuoriescono dalle multinazionali per ristrutturazioni. E allora? Buttare tutto al vento? Giammai. A 40 anni si può ripartire e costruire un’azienda innovativa di servizi digitali che nel giro di qualche anno diventa una media azienda che crea app, di cui una nota in mezzo mondo per il mondo degli animali domestici, Dogalize.  

Exit ma non solo

A un certo punto della vita di qualcuno bravo e ambizioso pare che la vita aziendale non basti più, non risponda più alle motivazioni e alle aspettative. Sarà a causa dell’azienda, o della persona stessa. Chi lo sa. Eppure capita. A volte capita a 30 anni, a volte a 40, a volte a 50. A volte c’è un evento in concomitanza con la consapevolezza che la vita aziendale non fa più per noi, come un cambiamento, un distacco, una delusione in campo professionale, ma anche in campo personale. Sul momento sembra una disgrazia, con il tempo è il seme della rinascita. Qual è quindi il passo successivo?  Il mondo del lavoro aziendale non sempre apprezza le potenzialità del 50enne. Il mondo del lavoro non è solo quello aziendale: esiste l’imprenditoria, la professione, l’artigianato. Ecco quindi che la startup per un lavoratore non più giovanissimo è l’exit della sua carriera. Il passaggio alla attività autonoma o meglio ancora imprenditoriale può essere il successo per il lavoratore con esperienza. E non perché è l’unica possibilità. Se uno ha percorso una lunga strada come dirigente, magari in multinazionali, esce con una buona esperienza commerciale, una certa umiltà e qualche soldino da investire, entra in una startup già costituita e ne diventa l’amministratore delegato, vi sembra male? L’azienda che porto come esempio si chiama Cloud Pathology, lui si chiama Massimo Cella. Insomma non più pregiudizi anche sul nuovo, andiamo sul campo e vediamo cosa succede e non solo all’estero. L’Italia non è così male, credetemi. Sono da 30 anni nel mondo del lavoro, ho cambiato di mio tante volte e da oltre 12 anni aiuto manager, imprenditori, professionisti a trovare, ritrovare, migliorare il loro percorso professionale. Ho seguito oltre 500 persone. Alcune le ho scelte o le scelgo periodicamente per dimostrare i miei pensieri e le mie idee.  Addirittura ho scritto un libro. Ci ho messo due anni, ma lo spunto era che ero stufa di veder citare come esempi solo Zuckenberg e simili per rimettersi in gioco o reinventarsi, quasi apparendo come una presa in giro. Partiamo dal quotidiano e vedremo che ci sono tanti esempi da cui prendere spunto, energia, ispirazione. Il libro si intitola “E’ facile cambiare lavoro se sai come fare”, la IV sezione è intitolata “Dell’intraprendere” ed è stato uno dei primi pubblicati in Italia con lo strumento del crowfunding grazie alla startup Bookabook . Contributor: Cristina Gianotti Cristina Gianotti si occupa di career coaching, executive coaching e business coaching a supporto di manager, professionisti, imprenditori interessati a investire su stessi e sulla propria crescita professionale e in questo testo che ha scritto per Startupbusiness offre una visione del fenomeno startup dal punto di vista dei cambiamenti che stanno ridisegnando il mondo del lavoro. Cristina è mentore e membro del comitato direttivo di Reseau Entreprendre Lombardia, network di imprenditori senior che aiutano imprenditori junior a fare impresa, ha un background di consulenza direzionale, management e imprenditoria, è ingegnere laureata al Politecnico di Milano e MBA alla SDA Bocconi, ha conseguito un Master in Executive e Business Coaching ed è business coach certificata dalla WABC (Worldwide Association of Business Coach). “E’ facile cambiare lavoro se sai come fare” è il suo primo libro pubblicato, mentre GoodGoing! (www.goodgoing.it) è la prima società completamente sua nell’ambito del career coaching.

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