Cos’è la scale-up e quali sono le sue caratteristiche

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Sempre più spesso si sente parlare anche in Italia di società scale-up, evoluzione naturale della startup che si afferma nel mercato ed è pronta a compiere un grande salto dimensionale. Ma andiamo con ordine, vediamo di capire meglio prima di tutto cosa si intende con questo termine e quali requisiti si richiedono a una società per essere identificata come una scaleup.

Cos’è la scale-up company

La scaleup è una società innovativa che ha già sviluppato il suo prodotto o servizio, ha definito il suo business model (scalabile e ripetibile), opera sul mercato e presenta alcune caratteristiche di successo che le permettono di ambire a una crescita internazionale in termini di mercato, business, organizzazione, fatturato. Sotto il profilo finanziario, lo scopo della scaleup e della sua crescita è anche quello di ripagare i suoi investitori, attraverso una forma di exit. Non esiste una definizione univoca di scaleup company, poiché le metriche, cioè le caratteristiche che distinguono la scaleup dalla startup, variano anche in base alle dimensioni del contesto di riferimento, al tipo di settore in cui operano e al modello di business (b2c o b2b). Per Deloitte , le scaleup sono

fast growing startup, società che nei primi 5 anni di vita raggiungono almeno i 10 milioni di dollari di fatturato.

Secondo la definizione, più generica, che offre Wikipedia, la scaleup differisce dalla startup in quanto ha già superato alcune fasi su cui è focalizzata l’attività della startup (in particolare, la ricerca di un business model scalabile e ripetibile) e può dunque concentrarsi sulla sua crescita per portarla avanti in modo controllato e sostenibile. SEP, Startup Europe Partnership, l’iniziativa che coinvolge anche Mind the Bridge, sta portando avanti un lavoro per la standardizzazione delle metriche della scaleup e ha già offerto questo primo sistema per l’individuazione di una scaleup :

  • Startup: le società che negli ultimi tre anni di attività hanno raccolto investimenti tra i 500 mila e il milioni di dollari o che si sono autofinanziate e hanno un fatturato compreso nel medesimo range
  • Scaleup: le società che hanno raccolto (ultimi tre anni) da uno fino a 100 milioni di dollari di investimenti o si sono autofinanziate e hanno un fatturato compreso nello stesso range
  • Scaler: la società che ha raccolto o fattura oltre i 100 milioni di dollari

Sulle problematiche connesse alla gestione dello scaleup vedi i video del corso Stanford Blitzscaling. Una scaleup è generalmente una startup che ha superato la fase iniziale di avvio e ha dimostrato di avere una valida idea imprenditoriale e un modello di business sostenibile.   Alberto Onetti, della Mind the Bridge Foundation, dice in questo suo articolo sul tema

La tua startup diventa una scaleup dopo che ha convalidato il suo modello di business, risolto le sfide che si pongono alla startup, ed è quindi pronta per la crescita, una crescita esponenziale. Noi chiamiamo questo “attraversare il burrone della crescita”, ispirandoci alla definizione di Geoffrey Moore,  sperando che sia lui a scrivere un altro libro dedicato alle scaleup. Lo stesso Onetti, in un commento rilasciato a Startupbusiness, aveva dato questa definizione di scaleup: Le scaleup sono startup che hanno raggiunto una” massa critica “e sono pronte a diventare contribuenti rilevanti per l’economia (sia in termini di generazione di entrate che di lavoro che offrono alle persone). Ci sono diversi tipi di “massa critica” per i diversi tipi di business.

  Una scaleup è un'azienda in fase avanzata di crescita, con un modello di business consolidato e orientata alla scalabilità e all'espansione.  

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Quante startup diventano scaleup

Il passaggio da startup a scaleup è un obiettivo ambizioso che richiede impegno, innovazione e una gestione efficace delle risorse. Non esistono statistiche precise sul numero esatto di startup che diventano scaleup, dato che dipende da molti fattori, come il settore industriale, la strategia aziendale, il mercato di riferimento e le competenze del team di gestione. Tuttavia, secondo alcune stime, solo una piccola percentuale di startup riesce a diventare scaleup: dopo tre anni consecutivi di crescita media annua del 20%. Pur essendo difficili da raggiungere, le scaleup hanno un impatto significativo sull’economia, creando posti di lavoro, generando valore e guidando l’innovazione. Le autorità governative e le organizzazioni di supporto all’imprenditorialità in tutto il mondo stanno cercando di creare un ambiente favorevole per favorire la crescita delle scaleup, offrendo programmi di accelerazione, incentivi fiscali e facilitando l’accesso al capitale di rischio In questo articolo di Italian Angels for Growth che sintetizza e commenta lo studio, si sottolinea anche come solo il 25% delle startup siano state progettate per scalare: la maggior parte in qualche modo bruciano i tempi di arrivo sul mercato, fattore che le rende poi deboli nel “crossing the chasm”.

Scaleup nel contesto italiano

L’ecosistema italiano delle startup, come più volte osservato, è ancora sottodimensionato rispetto ad altri contesti internazionali e di conseguenza, è anche basso il numero di scaleup che si riesce a “produrre”. E non per mancanza di startup di qualità, le quali spesso, per trovare sufficienti investimenti in capitale di rischio, per affrontare lo scaling vanno all’estero. Dobbiamo iniziare a considerare le startup come la spina dorsale della nostra economia. La prima domanda immediata è quanto grande sia il settore delle scaleup tecnologiche in Italia. Qual è il suo effettivo contributo al PIL e all’occupazione? A dicembre 2022, secondo il report Tech Scaleup Italy 2023 di Mind The Bridge l’Italia contava 557 aziende tecnologiche mature, in grado di raccogliere 7,3 miliardi di dollari di capitale (equity). Queste aziende hanno generato circa 4,4 miliardi di dollari di ricavi (circa lo 0,2% del PIL italiano) e impiegano direttamente 18.000 persone (lo 0,08% dell’occupazione totale). Nulla di particolarmente entusiasmante. Tuttavia, c’è un però. O meglio, tre. Queste aziende stanno crescendo in modo non lineare. Negli ultimi 2 anni, i loro ricavi hanno mostrato un aumento annuale del 50%, nonostante la pandemia di Covid-19 e il clima economico attuale di incertezza. Questo gruppo ad alto tasso di crescita di aziende sta diventando sempre più grande ogni anno. Ogni anno circa 100 nuove scaleup si uniscono alla scena tecnologica italiana, determinando un aumento annuo del 20% dell’occupazione. Queste aziende (le scaleup) rappresentano solo la punta dell’iceberg. Sotto la superficie stimiamo che ci siano circa 10.000 startup che non hanno ancora raggiunto lo status di scaleup. Per loro il contributo al PIL è probabilmente ancora modesto. Ma sono rilevanti in termini di occupazione (la stima complessiva è di circa 20-30 mila persone, sebbene non tutte occupate a tempo pieno) e, ancora di più, con la loro mentalità imprenditoriale. Se facciamo qualche calcolo semplice, i 7,3 miliardi di dollari investiti nelle scaleup italiane generano già più di 4 miliardi di dollari di ricavi ogni anno. Questo significa che ogni dollaro investito nel Venture Capital italiano produce la metà di un dollaro di PIL all’anno (in crescita) e si ripaga in meno di 2 anni. Pertanto, sembra abbastanza ovvio che non solo è sicuro investire nell’economia delle startup, ma è anche l’unica strada da percorrere. Poiché le alternative sono costituite da aziende italiane consolidate che mostrano in media una crescita limitata o negativa e che, alla fine, distruggono posti di lavoro netti. Si legge nel report:

Dobbiamo investire ancora di più rispetto ai pochi miliardi di dollari che attualmente stiamo versando nell’ecosistema delle scaleup italiane. Perché quello che stiamo facendo non è sufficiente per colmare il divario con gli altri ecosistemi. I nostri dati mostrano che l’Italia investe l’equivalente dello 0,24% del PIL nelle scaleup, molto al di sotto della media europea (1,3%). In questo senso, l’Italia sta sottoperformando non solo rispetto a Silicon Valley, Israele e Regno Unito, ma anche rispetto ai suoi vicini: la Francia investe il 1,5% del PIL, la Germania l’1,2%, la Spagna lo 0,8% e il Portogallo lo 0,5%. L’anno scorso (il nostro miglior anno di sempre) abbiamo investito 2,2 miliardi di dollari, mentre in Spagna sono stati investiti 4,7 miliardi di dollari, in Francia 10,8 miliardi di dollari, in Germania 14,4 miliardidi dollari e nel Regno Unito $ì40,5 miliardi di dollari.

  Del perché le startup italiane facciano fatica a diventare, ha parlato Lorenzo Franchini (fondatore di ScaleIT) in questa intervista video. 

Stati Uniti, Regno Unito e Cina tirano il trend globale delle scaleup

Stati Uniti, Cina e Regno Unito sono i Paesi in testa per numero totale di scaleup, con gli Stati Uniti che vantano 7,1 milioni di scaleup, un numero che è 4,8 volte superiore a quello della Cina e 11,5 volte superiore a quello del Regno Unito. Altre nazioni che completano la top 10 dei Paesi con più scaleup sono l’India, il Canada, la Germania, Israele, la Francia, la Corea del Sud e Singapore, in quest’ordine. Per quanto riguarda gli investimenti di venture capital (VC) nelle scaleup, gli Stati Uniti, la Cina, l’India, il Regno Unito e la Germania sono i Paesi che ricevono più finanziamenti. Nel complesso, il Nord America rappresenta il 55% di tutti gli investimenti globali di VC nelle scaleup, con gli Stati Uniti che da soli contribuiscono al 53% di questa cifra. A partire dal 2020, gli Stati Uniti hanno ricevuto più investimenti di VC rispetto al resto del mondo.  

Dallo startup allo scaleup – L’opinione di Joel Gascoigne, fondatore di Buffer

C’è un lungo e ricco post scritto dal fondatore di Buffer Joel Gascoigne sull’argomento, che si chiama: From Startup to Scaleup: What We’re Changing As We Make The Transition, molto utile per capire come si vive da un punto di vista interno il passaggio dalla startup allo scaleup. Ti consigliamo di leggerlo tutto, qui di seguito riportiamo solo uno schema che mette a confronto la vita di una startup da quella di scaleup. startup-to-scaleup-what-we-re-changing-as-we-transition  

Le iniziative europee a sostegno delle società scaleup

Le istituzioni europee sono da qualche anno in prima linea nel sostegno alle società scaleup. In particolare si segnala l’iniziativa EIT Digital Challenge, contest organizzato dall’EIT Digital Accelerator, acceleratore di startup sostenuto dall’Unione europea. L’ultima edizione della gara si è svolta il 18 ottobre e ha visto la vittoria, tra gli altri, dell’unica scaleup it­aliana in gara, Enerbrain. Ma non si tratta solo di conquistare un premio in denaro e in servizi: il progetto è molto più strutturato e a lungo termine. “Spotify e Skype ormai sono vecchi” ha detto Chahab Nastar, CIO di EIT Digital, riferendosi a quelle rare startup nate in Europa che sono riuscite a scalare e ad affermarsi sul mercato internazionale. “Vogliamo creare la nuova generazione di imprenditori e unicorni europei” ha aggiunto Nastar. Perché l’Unione europea punta a sostenere la crescita delle giovani imprese innovative dei 28 Paesi membri della Ue? “Nel 2018 – ha spiegato a Startupbusiness il CIO di EIT Digital, Chahab Nastar – l’ondata tecnologica emergente è il deep tech. La prima ondata è stata quella dei sistemi operativi, del world wide web e dei protocolli di internet, la seconda quella dei social, di Google, del mobile. L’Europa ha perso completamente la battaglia con gli Usa e il resto del mondo nelle prime due ondate. Ma può cercare di vincere la terza, quella per il primato nel deep tech”. Secondo Nastar il nostro continente ce la può fare perché ha un’ottima qualità della vita, un’eccellente formazione in STEM (materie scientifiche, dalle iniziali di Science, Technology, Engineering and Math) e ci sono molte iniziative nazionali per finanziare progetti di deep tech, oltre al fatto che i nostri talenti tecnologici sono altrettanto validi ma meno costosi di quelli, per esempio, della Silicon Valley. “La prossima grande piattaforma internazionale – dice – sarà con ogni probabilità una piattaforma basata sull’Intelligenza artificiale per la cybersecurity, o le smart city, o per le transazioni finanziarie. Stavolta potrebbe essere l’Europa a lanciarla”. Il contributo di EIT Digital è far superare alle scaleup europee le barriere che esistono tra loro e con gli altri attori dell’ecosistema regionale. Barriere linguistiche, culturali, normative che le grandi aree dell’innovazione, dagli Stati Uniti alla Cina, non hanno. Un’altra iniziativa pan-europea degna di nota è il programma Euronext Techshare, che si occupa di selezionare scaleup che si preparano alla quotazione in Borsa.

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