Open innovation, come la fanno 7 grandi imprese

Raccontare come si fa open innovation nelle grandi imprese: questo lo scopo di ADS Group e Innoventually che hanno organizzato nei giorni scorsi a Roma (19 settembre a Palazzo Montecitorio) la Open Innovation Challenge 2016,  che ha dato la possibilità a grandi multinazionali strutturate,  di parlare del modo, del perché e degli obiettivi che guidano le loro strategie di open innovation, intesa come dialogo con il mondo, soprattutto con il mondo delle startup che hanno fatto dell’innovazione la loro missione. All’appello lanciato da Michael Prisco, head of innovazione di ADS Group insieme all’AD Pietro Biscu e da Adriano La Vopa, innovation strategist di Innoventually, che oltre ad avere introdotto l’evento hanno anche enfatizzato entrambi come l’open innovation è strada che tutte le imprese devono perseguire per accelerare il processo di rinnovamento e per comprendere più a fondo il cambiamento paradigmatico che stiamo vivendo, hanno risposto Electrolux, Axa, Altromercato, Telit, Intesa Sanpaolo, Tim ed Enel. Ognuna di loro ha una strategia ben definita e in alcuni casi avviata già da qualche anno e ognuna di loro è stata invitata, come ha enfatizzato Prisco, head of innovation di ADS Group, proprio perché esempio delle diverse declinazioni con cui la open innovation si può applicare. Lucia Chierchia, open innovation director in Electrolux, da tempi non sospetti ha spinto la sua organizzazione a guardare in questa direzione e oggi è attivamente coinvolta in programmi di scouting e in processi che vedono l’intera azienda, a partire dal quartiere generale di Stoccolma, impegnata in questo progetto: “è importante trovare il modello di dialogo che meglio si adatta alla organizzazione la quale deve per prima capire l’importanza di aprirsi all’esterno quindi tutti i livelli dell’azienda devono essere coinvolti e resi consapevoli e per questo va enfatizzata l’importanza del sapersi rinnovare – dice -, e poi considero fondamentale creare una rete e lavorare con gli intermediari dell’ecosistema che possono diventare canali preferenziali per individuare più facilmente quelle innovazioni che possono effettivamente essere interessanti e utili”. Gianluca Zanini, head of partnership and innovation leader di AXA esordisce dicendo che è più difficile fare capire l’importanza del cambiamento alle grandi aziende che vanno bene e che tendono a rilassarsi verso la necessità di restare costantemente attente e pronte: “il mondo delle assicurazioni è al centro di un cambiamento strutturale dovuto soprattutto al fatto che oggi abbiamo la conoscenza di tutto e quindi il concetto di mutualizzazione è sempre più sostituito dal calcolo preciso del rischio che diventa certo e personale – afferma – AXA ha creato un fondo da 200 milioni di euro che investe in startup in tutto il mondo, Italia compresa, soprattutto in quelle che si occupano di fintech e insurtech, crediamo molto nella blockchain in cui abbiamo già investito 50 milioni di euro e crediamo che le startup possano rappresentare un innesto e un innesco per accelerare la innovazione alla quale bisogna fornire sì denari, ma anche il rinnovamento dell’organizzazione e delle persone”. Daniele Pes, in veste di head of open innovation and digital transformation di Altromercato ha posto l’attenzione sul passaggio dalla closed innovation alla open innovation: “oggi parliamo di open innovation, ma cosa c’era prima? – spiega – c’era la ricerca e sviluppo interna alle aziende che oggi non è più sufficiente perché l’innovazione è più ampia, più veloce e le aziende devono sviluppare le loro catene del valore verso l’esterno e ciò significa rendere aperte anche le risorse umane e l’ufficio acquisti per esempio, cosa che ancora avviene in poche realtà”. Appare chiaro come l’innovazione sia un virus che deve pervadere l’intera azienda ed è appunto ciò che è accaduto anche a Telit che, dice Mario Calcagnini director IoT service Italy, Balkans and CEE della società: “ci siamo trasformati da hardware center a solution center e questo processo è avvenuto anche tramite acquisizioni, vogliamo fare crescere le intelligenze e mettiamo a disposizione le nostre risorse a chi ha buone idee ma pochi mezzi e siamo noi stessi fornitori di innovazione per i nostri partner più grandi come per esempio Cisco e Swisscom, collaboriamo con le università come abbiamo fatto in Brasile dove abbiamo creato il Telit Camp dal quale lo scorso anno sono emerse innovazioni così interessanti che alcune le abbiamo portate a Las Vegas in modo da farle incontrare direttamente con il mercato”. Tony Gherardelli, head of innovation promotion di Intesa Sanpaolo ha spiegato come la banca abbia creato una divisione in cui fare confluire tutte le azioni che si sono costruite nel tempo: “l’innovation center, che ha sede nel nostro nuovo grattacielo di Torino, gestisce oggi tutte le attività come lo scouting delle startup per esempio che già dal 2009 realizza una serie di appuntamenti per individuare le startup migliori e farle incontrare con potenziali partner industriali e finanziari (Gherardelli ricorda come questo progetto nacque anche con l’attivo supporto di Startupbusiness, ndr), lavoriamo a stretto contatto con i principali attori dell’ecosistema e gestiamo direttamente un fondo da 30 milioni di euro destinato a finanziare le startup del fintech”. Fondo che affianca quello da 80 milioni di euro che è il frutto della fusione tra il fondo Atlante di Intesa Sanpaolo e Quadrivio. La banca ha anche creato una piattaforma di matching che si chiama TechMarketplace. Per Tim è Massimiliano Ambra, head of business development of strategy and innovation, a raccontare gli stimoli e i progetti che l’azienda fa in ambito open innovation: “le telecomunicazioni sono una commodity e benché dalla rivoluzione digitale arrivino nuovi modelli che intaccano il business tradizionale delle telco, non possiamo non vedere anche le opportunità. Per questo dobbiamo entrare in settori attigui al nostro storico come le smart city, la smart agricolture, lo smart retail, la didattica, l’automotive. Con Working capital abbiamo fino a oggi valutato novemila progetti, di cui 300 sono stati supportati e 30 lavorano stabilmente con noi e con il nostro fondo Tim ventures abbiamo chiuso 14 investimenti seed. Benché il progetto Working capital sia ancora da perfezionare, soprattutto per quanto riguarda il contratto che chiediamo alle startup di firmare che negli anni abbiamo un po’ ammorbidito ma è ancora per alcuni troppo vincolante infatti anche quest’anno alcune hanno preferito non firmare, ci ha permesso di avvicinarci in modo strutturale all’innovazione generata all’esterno. Una esperienza che ci torna utile anche ora che abbiamo avviato un fondo da 350 milioni di dollari che ha sede nella Silicon Valley e che abbiamo realizzato insieme ad altri partner come Telecom Malesia e l’indiana Tata, il fondo investe soprattutto in scaleup”. Tra gli altri investimenti che Tim sta facendo secondo quanto raccontato dal manager vi sono reti veloci e tecnologie per la conservazione dei dati in cloud, nel 2017 aprirà il nuovo datacenter ad Acilia, vi è la Tim foundry realizzata in collaborazione con partner come Cisco e Huawei. shutterstock_421593898“Le aziende molto brave lo sono spesso diventate perché hanno imparato molto bene a fare una cosa e continuano a farla nello stesso modo, ciò impedisce di vedere le cose in modo nuovo ed è per questo che le organizzazioni, anche le più grandi, devono interagire con gli altri, accedere a nuovi punti di vista ed è questo che noi in Enel consideriamo open innovation”, dice Carlo Napoli, head of open innovation culture and project portfolio: “la prima cosa da fare è organizzarsi, noi abbiamo creato un hub interno che è la nostra interfaccia tra il mondo esterno e quello interno e abbiamo iniziato a fare in modo che le idee possano essere condivise e non soffocate e poi, se buone, realizzate, che è la parte più difficile ovviamente, abbiamo iniziato a insegnare alle nostre persone a dare forma alla creatività. Siamo consapevoli che solo il mercato può dirci se una cosa è buona o no, non può farlo nemmeno il più bravo dei manager ed è per questo che facciamo contest interni per verificare le ipotesi di business e quindi non facciamo sondaggi ma abbiamo creato 22 team che provano sul campo la bontà dei nuovi progetti”. Insieme a Carlo Napoli anche Luciano Tommasi, head of startup initiative and business incubator, innovation and sustainability di Enel che dice: “le startup non hanno paura di rischiare e nulla hanno da difendere a differenza nostra che tendiamo a giocare sulla difensiva mentre le startup giocano in attacco. Il nostro obiettivo è trovare startup che ci aiutino a migliorare le nostre performance operative. Lo scorso anno abbiamo analizzato 1500 startup, con 400 abbiamo approfondito la conoscenza e oggi lavoriamo con 40 di loro in ambiti come per esempio la manutenzione predittiva, la cyber security su sistemi industriali e le azioni di test e implementazione veloce di nuovi modelli di business – continua il manager -. Siamo passati dal know how al know where e lo facciamo a livello globale con gli innovation hub che abbiamo in Israele e a breve anche in Silicon Valley e a Singapore, inoltre lavoriamo in collaborazione con alcuni fondi di venture capital si in Italia sia in Europa e a loro portiamo le nostre competenze in modo da abbassare il loro rischio e se poi vi è interesse comune investiamo insieme, loro sempre nell’equity, noi o nel prodotto o nell’equity”. L’incontro organizzato da ADS Group avrà una seconda tappa a Napoli ed è per questo che tra gli invitati presenti anche Vincenzo Lipari, consigliere delegato Città della Scienza, Giorgio Ventre della Università Federico II che è coinvolto nel progetto che sta vedendo nascere il polo di formazione di Apple, un progetto che, dice, sta portando stimolo alla città, non solo in termini di visibilità ma soprattutto in termini di modelli da applicare, modelli che vogliamo replicare anche con altre realtà. E a Ventre fa eco Valeria Fascione (alla quale abbiamo fatto anche una delle nostre video interviste) che è la prima e unica assessora regionale con delega alle startup e che enfatizza come la sua missione è aprire il territorio, proprio in ottica di open innovation, portare a Napoli risorse da fuori e rendere Napoli sempre più internazionale, per questo, per esempio le borse di studio per il centro Apple non saranno solo per i campani ma per chiunque: “io ho la delega per le startup, ma anche per la internazionalizzazione e la competitività – spiega – quindi lavoro per creare la domanda da parte del mondo industriale che possa essere rivolta alle startup che non sono la manna che risolve tutti i problemi, ma certamente sono dei potenti fertilizzatori, ciò che facciamo è definire un piano che sia condiviso dal territorio e quindi attivamente partecipato e invertiamo la logica, non facciamo le call su offerta di innovazione, ma sulla domanda di innovazione”. e.a.

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