Le startup italiane sono sofisticate, parola di Ryan Naftulin

Ryan Naftulin è uno specialista di investimenti in venture capital (qui il suo profilo) . E’ partner di Cooley, l’enorme studio legale US che segue anche operazioni di venture capital e IPO (tra i suoi clienti Google, Facebook, Yelp, Tesla, ecc) che ha aperto lo scorso anno anche a Londra, dove ha la carica di vice chair del business department. Ryan ha lavorato per molto tempo quale rappresentante di fondi di venture capital della Silicon Valley e ora sfrutta la sua posizione europea anche per osservare come lo scenario degli investimenti in capitale di rischio si sta evolvendo nel vecchio continente rispetto a ciò che avviene in Usa. Visto il suo background, il suo giudizio positivo sulle startup italiane, è dunque di grande valore. ryan“Le startup che ho incontrato qui in Italia devo dire hanno un tasso di evoluzione e di conoscenza del settore decisamente sofisticato – dice Ryan Naftulin, con il quale ho parlato a margine di un incontro che ha avuto con alcune startup e scaleup italiane organizzato dallo studio legale Portolano Cavallo a Milano – la cosa non mi ha sorpreso perché conosco il valore delle startup italiane, ma è stata certamente una conferma del fatto che gli imprenditori innovativi italiani vogliano sempre più giocare la loro partita a livello internazionale”. L’incontro ha avuto un taglio piuttosto tecnico e approfondito, fino ad analizzare le voci del term sheet, nel confronto di un approccio tra investitori internazionali e investitori italiani, come ha confermato anche uno degli imprenditori presenti il quale ci ha confidato che nella relazione con gli investitori internazionali l’elemento di maggiore criticità si dimostra essere la poca lungimiranza degli investitori italiani già a bordo perché hanno ancora difficoltà nell’analizzare nel medio e lungo termine aspetti come per esempio la liquidation preference. Naftulin da parte sua enfatizza che i venture capitalist, compresi quelli statunitensi, vedono in Europa una grande opportunità ed è persuaso del fatto che se oggi circa il 50% degli investimenti è dirottato verso la Gran Bretagna, ciò sia del tutto casuale,  anzi semmai “le barriere sono legate al fatto che il VC desidera essere parte dello sviluppo dell’azienda in cui investe e in Europa ciò non è sempre facile perché manca la presenza sul territorio e di conseguenza le reti di connessione. La soglia di ingresso è quindi piuttosto elevata ma vi è la netta e chiara consapevolezza che in Europa, Italia compresa, vi sono delle aziende di altissimo valore”. – leggi cosa pensano gli investitori italiani degli ostacoli che rendono poco attrattiva l’Italia per i VC internazionali – Il manager di Cooley spiega questa particolare circostanza con la differenza temporale che vi è tra il ‘sense of momentum’ e l’actual momentum’, quindi tra la circostanza della consapevolezza e della volontà da parte dei vc internazionali di investire in Europa e l’effettiva possibilità di poterlo fare in modo pieno e sostanziale: “oggi siamo proprio nel mezzo tra questi due stati ed è chiaro che più la consapevolezza cresce più si fanno sforzi per arrivare alla pienezza della fattibilità e, come detto, la possibilità di portare supporto non solo finanziario è la chiave per colmare il gap temporale e perché questo accada è fondamentale che anche l’ecosistema italiano sia sempre più parte dello scenario internazionale”. Ci sono naturalmente altri elementi da considerare come per esempio la tipologia di investimento, se si tratta di A o B series si può considerare anche l’eventualità di trasferire l’azienda o almeno i suoi manager in un Paese dove già il VC opera, se invece si tratta di investimenti successivi il trasferimento diventa più difficile se non impossibile. Un’altra strada è quella dei co-investimenti in cui per esempio un VC internazionale lavora in partnership con un VC locale che conosce il territorio e quindi può garantire quel supporto non solo di tipo finanziario. Anche qui Ryan utilizza una metafora: “i co-investimenti sono certamente una modalità interessante, ma è un po’ come una festa per bambini dove ogni genitore manda il figlio o la figlia solo se sa che alla festa è presente anche qualche adulto. Deve esserci quindi una grande fiducia e una comunione di visione e di obiettivi e questo non vale solo a livello internazionale ma ho osservato tale fenomeno anche all’interno del mercato Usa. Certamente però i co-investimenti sono volano di crescita”. Altra particolarità che Bryan Nuftlin ha rilevato da quando è basato a Londra è la maggiore accuratezza delle due diligence tecniche che vengono fatte in Europa: “c’è maggiore attenzione e ricerca perché c’è forte desiderio di individuare le migliori innovazioni e relative venture disponibili”. Tra tutte le ragioni che ancora rendono non sempre fluida la possibilità di un investitore di operare in Italia e di una startup di ricevere supporto da vc internazionali, una è sicuramente da escludere: “se c’è una paura che i VC non hanno è quella di investire, ed eventualmente perdere, soldi;  se si danno loro gli strumenti e il contesto adatto arrivano con entusiasmo e con le loro risorse”. Emil Abirascid

© RIPRODUZIONE RISERVATA

    Iscriviti alla newsletter