Diario di bordo di Maribelle /3 : dal 7 al 12 agosto

Martedì 7 agosto – San Leone

Oggi non si respira, non c’è un filo di vento neanche in porto. E noi dobbiamo andare in città. Gli autobus ad Agrigento funzionano un po’ come in tutta la Sicilia: passano, ma senza impegno, senza orari. E così restiamo su una panchina davanti al porto di San Leone per un tempo indefinito, infinito. Ogni minuto è dilatato dal caldo torrido, allungato dal nostro sudore. Dopo un’ora finalmente si materializza e siamo contenti che per arrivare in centro fa un giro lunghissimo perché a bordo c’è l’aria condizionata. Dopo una sforbiciata a barba e capelli di Francesco, che gli toglie le sembianze da naufrago, è già ora di pranzo e i negozi chiudono. Per comprare quanto ci serve ci tocca aspettare tre ore. Tre ore, in città, nel primo pomeriggio, con 42°, non passano mai, credeteci. Abbiamo colonizzato tre bar, di cui solo uno con l’aria condizionata. Gli altri due erano un ricettacolo di mosche. Caffè e granite non si contano più, l’aria continua immobile, pensiamo che Periplo è stata davvero una bella idea. Finalmente alle 16.30 si sono aperte le porte dei negozi che ci servivano, abbiamo fatto tutto velocemente e ci siamo fiondati di nuovo in porto che ormai erano le 18.00 passate. Ci raggiunge Francesco Gennaro, velista modicano amico di Francesco. Francesco, meglio noto come Ciccio, ci aiuta a fare dei lavoretti sul Bad. Passa a salutarci anche Carlo Lauria, che non disdegna un bicchiere di vino. La giornata scivola via con un piatto di pasta preparato in barca, mentre ancora non ci capacitiamo della mancanza totale di vento. In compenso abbiamo un’umidità pazzesca: la coperta del Bad è bagnata e piove dal boma.

Mercoledì 8 agosto: VI tappa San Leone – Marina di Ragusa.

Sveglia di buon mattino, caffè e via. Oggi dobbiamo percorrere tanto mare. È in programma una sosta a Licata per recuperare nuovamente Emmanuel e Valeria che vogliono unirsi ancora a noi. Davanti al porto, Ciccio e Chiara restano sul Bad, Francesco va a prenderli con Maribelle. Hanno con loro un bel po’ di scorte per la cambusa e sono entusiasti di essere di nuovo dei nostri. Anche noi siamo contenti, sono davvero in gamba, una piacevole compagnia. Una volta a bordo ci mangiamo un panino al volo (riscopriamo la freschezza e la bontà della lattuga iceberg mangiata appena lavata e scondita, foglia a foglia) e poi i nuovi arrivati si fiondano su Maribelle e si divertono da matti. In serata, poco prima di arrivare a Marina di Ragusa, decidiamo di trainare Maribelle in modo da non far arrivare sfalsate le due imbarcazioni e avere assistenza all’ormeggio. E così, al tramonto, mentre stuzzichiamo qualcosina in compagnia di un buon Merlot Sirignano, vediamo non troppo lontano da noi un branco di delfini che va in direzione opposta alla nostra. Rimaniamo incantati davanti a questa visita inaspettata ed effimera, le loro pinne riflettono la luce dorata del tramonto. Ci emozionano, nessuno di noi ha il coraggio di perder tempo a recuperare macchine fotografiche, cellulari o chissà cos’altro per immortalarli, perché sa che nel frattempo lo spettacolo svanirebbe. Così è. Arriviamo a Marina di Ragusa in tarda serata, ci fanno ormeggiare nel pontile dei ricconi, accanto a degli yacht statunitensi di dimensioni spropositate. Il porto di Marina di Ragusa è nuovo, ospita bar e negozi moderni ed è meta di passeggiate serali di chi, davanti a quegli yacht, sogna ad occhi aperti e si accontenta di farvisi una foto davanti. Chi possiede e abita questi oggetti del desiderio è come se stesse in una vetrina e, diciamolo, se ne compiace pure. Decidiamo di goderci un panino e una birra sul lungomare. La birra ghiacciata, d’estate, è la vita. Ci sono pomeriggi, serate, in cui uno venderebbe anche sua madre per una bella bottiglia di birra fredda. Philippe Delerm, nel sul libro La prima sorsata di birra e altri piccoli piaceri della vita“È l’unica che conta. Le altre, sempre più lunghe, sempre più insignificanti, danno solo un appesantimento tiepido, un’abbondanza sprecata. L’ultima, forse, riacquista, con la delusione di finire, una parvenza di potere…”. Ma la prima sorsata! Comincia ben prima di averla inghiottita. Già sulle labbra un oro spumeggiante, frescura amplificata dalla schiuma, poi lentamente sul palato beatitudine velata di amarezza. Come sembra lunga, la prima sorsata. La beviamo subito, con un’avidità falsamente istintiva. Di fatto, tutto sta scritto: la quantità, né troppa né troppo poca che è l’avvio ideale; il benessere immediato sottolineato da un sospiro, uno schioccar della lingua, o un silenzio altrettanto eloquente; la sensazione ingannevole di un piacere che sboccia all’infinito… Intanto già lo sappiamo. Riappoggiamo il bicchiere, lo allontaniamo un po’ sul sottobicchiere di materiale assorbente. Assaporiamo il colore, finto miele, sole freddo. Con tutto un rituale di circospezione e di attesa, vorremmo dominare il miracolo appena avvenuto e già svanito. Leggiamo soddisfatti sulla parete di vetro il nome esatto della birra che avevamo chiesto. Ma contenente e contenuto possono interrogarsi, rispondersi tra loro, niente si riprodurrà più. Ci piacerebbe conservarne il segreto dell’oro puro e racchiuderlo in formule. Invece, davanti al tavolino bianco chiazzato di sole, l’alchimista geloso salva solo le apparenze e beve sempre più birra con sempre meno gioia. È un piacere amaro: si beve per dimenticare la prima sorsata.

Verissimo. Il miracolo si ripete ogni sera. Marina di Ragusa trabocca di gente e a noi ciò fa il solito effetto post-navigazione: troppo chiasso, troppo caldo, troppa confusione, troppa umanità. E poi siamo stanchi, sfatti, e le sgomitate dei passeggiatori non troppo rilassati ci sfiancano. Francesco ed Emmanuel si addormentano su un mojito, è ora di andare a nanna.

Giovedì 9 agosto – Marina di Ragusa

La mattina inizia con una voce che ci chiama dalla banchina: il direttore del porto vuole salutarci e vedere le barche. Deleghiamo tacitamente a Francesco tutta la solerzia e il senso di responsabilità dell’equipaggio, ed è lui, quindi, che, senza neanche lavarsi il viso, inizia le sue public relations. Torna dopo un po’ con degli ordini ben precisi: bisogna pulire le barche, verranno vari giornalisti a fare foto e a intervistarci. In effetti dopo quindici minuti si presenta il primo e poi a turno altri: da Palermo il consorzio Arca aveva preso contatti con lo Svi.Med (Centro Euromediterraneo per lo sviluppo sostenibile) e con la stampa per sollevare l’attenzione su Periplo. Foto, interviste e anche qualche ripresa per noi dell’equipaggio, che siamo già a fine mattinata e neanche ce ne siamo resi conto. Ci prendiamo una pausa con una granita buonissima nel futuristico bar del porto e andiamo alla ricerca di ghiaccio. Un’impresa, d’estate è troppo prezioso perché te ne cedano una quantità ragionevole a cuor leggero. Sfoderiamo i nostri occhioni più languidi per muoverli a tenerezza o a pietà, ma nulla da fare. Tornati in barca, adottiamo il solito metodo poco fruttifero: bottiglie in un sacco calate a mare. Ma l’acqua del porto non eccelle per freddezza. Pasta al pesto alle quattro del pomeriggio, mentre Ciccio approfitta della vicinanza di Modica per fare un salto a casa. Mentre mangiamo, in banchina arrivano Giovanni e Silvia, fratello e sorella soci della LNI che resteranno con noi per qualche tappa. Hanno affrontato il viaggio da Palermo nelle ore più calde, che coraggio. Si mostrano subito operativi: vanno a fare un po’ di spesa e procurano anche del ghiaccio. Nel frattempo sentiamo delle vocine squillanti avvicinarsi, ci guardiamo intorno e vediamo un gommone della LNI con a bordo l’istruttore e un gruppetto di bimbi che veniva a trovarci per conoscere Periplo e le imbarcazioni. Un’esplosione di vivacità e curiosità. Avvolti da salvagenti più grandi di loro, restano poco sul gommone: vogliono salire in barca, esplorare, curiosare. Francesco tenta di spiegare loro cos’è un pannello fotovoltaico issando la randa di Maribelle, ma, dall’alto dei loro sette anni vissuti in pieno ventunesimo secolo, sanno già tutto: “Ah sì, i pannelli solari!”. “Possiamo entrare dentro?” Ovviamente, permesso accordato. Gli spieghiamo dove si dorme, dov’è il bagno, dove si cucina – e indovinano anche il perché della cucina basculante –, come si vive in barca. Quando chiediamo loro che classe frequentano, tengono a precisare “Siamo grandi, quest’anno iniziamo la seconda!”. L’istruttore li invoglia a risalire sul gommone con la promessa di un bagno a mare, tentiamo di trattenerli con una merenda, ma ovviamente il bagnetto è più allettante. Splendidi, ci hanno fatto sciogliere. Anche noi ci concediamo un bagnetto approfittando della spiaggia adiacente al porto. Ma abbiamo i minuti contati, alle 18 aspettiamo un altro giornalista. Di sera improvvisiamo un’altra pasta, con il tonno stavolta, e mentre mangiamo inizia la passeggiata serale della gente sulla banchina. Molti, però, vengono appositamente, perché hanno letto gli articoli, visto i servizi in tv e sono curiosi di conoscere Periplo, lo strano gommone a vela e le vele fotovoltaiche. Scopriamo l’arte oratoria di Emmanuel che, con enorme entusiasmo, si accontenta di lasciare il suo bicchiere di vino per andare a prua e, come su un pulpito, parlare alla gente che nel frattempo si raduna sulla banchina. Avrebbe potuto vendere una radio a un sordo; noi da poppa lo prendiamo un po’ in giro bonariamente. Finita la conferenza su Periplo, il nostro relatore torna, ma appena qualcuno dalla banchina fa per avvicinarsi per guardare un po’ meglio, lui subito scatta in piedi. Ha sposato la causa, non c’è che dire. 

Venerdì 10 agosto. VII tappa: Marina di Ragusa – Pozzallo.

Pozzallo non è poi così lontana, non c’è bisogno di partire all’alba. Facciamo tutto con calma, prepariamo due volte il caffè, predisponiamo ogni cosa per la partenza e molliamo gli ormeggi. Navigazione tranquilla, il solito cambio di equipaggi su Maribelle e il Bad, e la fame dell’ora di pranzo ci coglie sprovvisti: pane duro, qualche foglia di lattuga moscia, due pomodorini mezzo raggrinziti e la solita scatoletta di tonno. Poco male, stasera ci rifaremo. Arriviamo a Pozzallo nel pomeriggio. Il presidente della sezione locale della LNI ci accoglie nel porto con qualche socio, ci fanno ormeggiare accanto ai rimorchiatori. Ci spiegano che nelle banchine davanti alla loro sede ci sono appena trenta centimetri di fondale, che la banchina lì è affondata l’anno scorso e che le barche ormeggiate lì sono insabbiate. In effetti, è sorprendente vedere che i pescatori fanno i loro lavori in pieno porto con l’acqua che gli arriva a metà polpaccio. Il presidente Tussellino e i soci ci refrigerano con acqua ghiacciata e qualche bibita e ci mettono a disposizione la loro sede che ci lasceranno aperta anche di notte per permetterci di caricare cellulari, computer e quant’altro. Torniamo verso le barche e lì il comandante dell’enorme rimorchiatore davanti a noi ci avverte: “Alle 21.30 parte il catamarano per Malta, fate attenzione perché muove una quantità d’acqua impressionante e farà manovra proprio davanti a voi… Una volta ci ha spezzato una cima come questa…”, e indica una cima di 15 cm di diametro. Ci guardiamo tutti preoccupati, bisogna fronteggiare questo possibile pericolo. Il comandante ci fa legare una cima al suo rimorchiatore, in modo da tenerci la prua bloccata, mettiamo tutti i parabordi sul lato sinistro del Bad che dà sulla banchina e per il resto ci diciamo di tenerci pronti a parare. Mentre aspettiamo l’ora X, ci avviciniamo a un peschereccio a fianco e chiediamo se ci vendono un po’ di pesce. Vogliono darci una cassetta di triglie, ma decliniamo: son troppe, non abbiamo neanche ghiaccio per tenere in freddo quelle che non possiamo consumare. Facciamo per andarcene ma un pescatore prende un sacchetto con un paio di chili di triglie freschissime e ce lo porge, “Queste ve le regalo io…”. Ci portiamo il nostro trofeo in barca, non possiamo smettere di odorare quel pesce e ripeterci gongolanti quanto è fresco.

“Facciamole in umido… pelati, aglio, olio… è la morte loro!”.

“Non abbiamo pelati…”.

“Allora fritte! Buoooooone, calde calde…”.

“Non abbiamo farina…”.

Decidiamo di arrostirle semplicemente, convincendoci che è il modo migliore per valorizzarne la freschezza e che tutte le altre ricette avrebbero coperto il sapore del mare. Quando la volpe non può arrivare all’uva… Alle 21.30 il gigantesco catamarano inizia a muoversi. Ci posizioniamo, inizia ad arrivare tanta schiuma, ma niente di allarmante. La prua resta bloccata e non c’è bisogno che facciamo nulla, le due barche si limitano a ondeggiare fino a quando quel mostro non esce dal porto. Ora possiamo goderci le triglie. Francesco spadella che è un piacere, il profumino ci inebria. Le mangiamo rigorosamente con le mani, una dietro l’altra come fossero ciliegie. Una goduria per il palato. Dopo cena andiamo a fare un giro a Pozzallo e arriviamo fino alla torre saracena. Che bellezza, l’estate: il piacere molle della passeggiata alla ricerca di un po’ di fresco, l’osservarsi sereno lungo i viali, mentre si sciabatta soddisfatti e pigri, il dubbio su cosa ordinare al bar: una granita? Una birra? Un cocktail?, la sfilata lenta di cannucce variopinte e facce abbronzate, mentre già si pensa a dove si andrà al mare il giorno dopo. Dopo le undici, s’intende. Ciccio coinvolge un suo amico, Giorgio, per la partenza di domani. Non si sosta un giorno a Pozzallo, meglio ripartire subito alla volta di Marzamemi. 

Sabato 11 agosto: VIII tappa, Pozzallo – Marzamemi.

Anche stavolta non sono previste troppe ore di navigazione e possiamo permetterci di partire verso le 9. Al largo un nuvolone fa capolino da terra, abbiamo consultato le previsioni, verso mezzogiorno dovrebbe piovere. La pioggia anticipa il suo arrivo, ma è poca. Giacche a vento, k-way e un po’ più di attenzione nel camminare sulla coperta. Verso le 15, quando ormai capiamo che non possiamo contare sulla nostra lenza per il pranzo, chiamiamo a raccolta Ciccio e Giorgio che volteggiano su Maribelle per la solita pasta con il tonno, che prepariamo con un terzo di acqua di mare. Abbiamo finito i piatti di plastica: Francesco e Chiara dividono un vassoio di alluminio di quelli usa e getta, così come Silvia e Giovanni, a Giorgio puliamo la ciotola che usiamo per le mollette da bucato, a Ciccio tocca la pentola. Come dice l’ammiraglio Leuzzi, bisogna sapersi dare verso. Quando ci avviciniamo alla costa, poco prima di arrivare, vediamo la punta di Portopalo di Capo Passero con la sua isoletta davanti, e le boe più al largo sotto le quali ci sono gli allevamenti di orate. Marzamemi è appena svoltato il capo. Iniziano le operazioni di routine prima dell’ingresso al porto. Si ammainano le vele, si mette Maribelle a traino, si chiama in porto con un occhio costante al profondimetro, si cerca di intercettare la luce verde e rossa che indicano l’ingresso al porto la sera. Giriamo e rigiriamo, occhi puntati, ma niente luce rossa. Decidiamo di seguire una barca che sta entrando al porto, anch’essa un 37 piedi. Le comunicazioni radio si accavallano, dal porto si confondono, per un attimo non ci distinguono. La barca davanti a noi precisa orgogliosa via radio: “Noi avevamo prenotato un posto, ce lo ha riservato il dottor Franco”. Francesco ribatte: “Anche noi abbiamo un posto. Ce lo ha riservato l’ammiraglio Leuzzi”. Silenzio. Ormeggiamo e ci spiegano che la luce rossa è fulminata da tempo, il comune non la ripara, la capitaneria neanche, ci sono tempi lunghi, le solite storie da scaricabarile. Ciccio e Giorgio vanno via, tornano a Modica. Chiara, Francesco, Silvia e Giovanni si lanciano alla scoperta di Marzamemi, sconosciuta a tutti. Ci fermiamo affamati alla prima pizzeria, una delle pizze più buone che abbiamo mai mangiato in vita nostra. Silvia, 17 anni, e Giovanni, 22, sono due ragazzi pacati, taciturni, educatissimi, vanno molto d’accordo, tra loro c’è un’intesa salda e tacita, un equilibrio forte. Lei frequenta il liceo scientifico, lui studia informatica. È Silvia ad aver coinvolto il fratello nel mondo della vela e ad aver scoperto l’esistenza di Periplo su internet, ci dicono che vorrebbero continuare fino all’ultima tappa, ma gli impegni legati allo studio purtroppo non lo consentono.  Dopo la pizza ci godiamo il lungomare, crocevia estivo di tutti i paesini della costa. Marzamemi sembra non conoscere crisi, il centro è strapieno di gente, turisti e non. Vediamo la tonnara, il borgo antico e ci spingiamo fino alla punta estrema, dove si trovano delle case con terrazze in legno a un metro dal mare: chiunque può sedersi lì e godersi un angolo di paradiso. Un’immancabile puntatina alle bancarelle, un’altrettanto immancabile granita al limone e torniamo alle barche per dormire.

Domenica 12 agosto – Marzamemi.

Nessuna sveglia oggi, ci godiamo il sonno dondolante in porto. Appena svegli, colazione, qualche lavoretto sul Bad e il pensiero va ai negozi davanti alla tonnara che vendono prodotti tipici e offrono ricche degustazioni. Una festa che ci apre l’appetito: assaggiamo pomodorini secchi di Pachino, salame di tonno, patè di tonno e pistacchio, patè di tonno e finocchietto, garum di tonno… e non sappiamo cosa comprare prima. Passiamo anche dal supermercato, chiediamo a una signora affacciata un po’ di basilico della sua pianta e ci fiondiamo in barca. Mentre mettiamo su l’acqua per la pasta, decidiamo di pulire le barche: una scusa per rinfrescarci dopo la passeggiata. Francesco prepara una pasta sublime: Acciughe piccanti sciolte nell’olio, pomodorini secchi di pachino, scorza di limone e qualche foglia di basilico. Nonostante il caffè, l’abbiocco non tarda ad arrivare. Nel tardo pomeriggio sfidiamo i nuvoloni e decidiamo di attraversare tutta Marzamemi per andare a fare un bagno nelle spiagge dopo il paese. Ci raggiunge Ciccio con qualche birretta, mentre Francesco chiama più volte l’ammiraglio per consigli sul meteo e informazioni sul porto di Siracusa, nostra prossima tappa. Di sera ci becchiamo una delle cose più belle dell’estate: una sagra di paese. La sagra del pescespada, nella fattispecie. Pescespada alla griglia e all’ortolana, una vera delizia. Ci ritiriamo in barca per un bicchiere di vino e quattro chiacchiere. Ciccio non può continuare con noi, ha impegni. La sveglia per domani è alle 5: l’ammiraglio ci ha consigliato di partire presto, il vento e l’onda monteranno più tardi e comunque da sud-ovest, quindi la terra ci ripara. Inoltre ci fa felici: a Siracusa è di nuovo dei nostri.

© RIPRODUZIONE RISERVATA

    Iscriviti alla newsletter