Le smart-up e l’evidenza empirica del numero tre

di Enrico Tantussi, country manager Econocom Italia

Uno dei ‘miracoli americani’ dell’ultimo secolo è stato la capacità di creare un contesto economico in grado di mettere in contatto diretto i grandi capitali con gli imprenditori creativi. Un fenomeno con radici lontane, che si è espresso però in tutta la sua pienezza a partire dagli anni ‘70. Quello che noi ci ostiniamo a chiamare Silicon Valley, ma che in realtà si estende a gran parte degli Stati americani, è diventato l’antitesi al modello fordista: creatività e potenziale innovativo si sono sostituiti alla capacità produttiva. I grandi capitali sono diventati venture capitalist che, semplificando, finanziano 100 imprenditori innovativi dall’inizio sapendo che solo uno di essi: il Mark Zuckerberg, lo Steve Jobs, il Bill Gates della situazione produrrà il ritorno dell’investimento che cercano.

Il modello ha funzionato alla perfezione, portando agli Stati Uniti un valore competitivo inestimabile del quale l’economia mondiale risente tuttora. Tuttavia, come ogni modello economico, anche questo è destinato a evolversi. E, infatti, da qualche tempo a questa parte, salvo le inevitabili eccezioni, l’idea geniale non è più sufficiente per convincere un venture capitalist a investire. E la colpa, se vogliamo chiamarla così, è proprio della tecnologia. Basta sfogliare le pagine delle testate economiche per rendersi conto che gran parte delle startup di successo dell’ecosistema digitale ha smesso di creare tecnologia, ma la usa per sviluppare non software, non hardware, ma nuovi modelli di business. Una nuova generazione di imprese: più dinamiche, più propense al cambiamento e pronte a cogliere l’innovazione tecnologica che le circonda per migliorarsi. Ogni cosa nuova ha bisogno di un nome. E il nome di questa nuova generazione di piccole imprese potrebbe essere smart-up.

Quello delle smart-up non è solo un fenomeno americano. Molti Paesi, Italia compresa, hanno imparato dall’esperienza maturata negli Stati Uniti dando vita, ognuno sulla base delle proprie inclinazioni e del proprio modello economico, a un ecosistema capace di alimentarne la crescita. Le smart-up si moltiplicano con grande rapidità in Europa, in India, in Cina, in Russia, in Brasile. Non sono più fondate solo da neolaureati in jeans e t-shirt. Molte di esse nascono dall’esperienza di professionisti che hanno lavorato per anni in un settore specifico. Il che è un bene, visto che le smart-up sono uno dei pilastri dello smart planet in cui gran parte di noi spera di poter vivere nel prossimo futuro. Le smart-up si occupano di digitale, sostenibilità ambientale, energia, biotecnologie, nanotecnologie. Fondano la propria crescita non più solo sull’innovazione di per se stessa, ma sulla progressiva creazione di una rete di relazioni che consente loro di vendere la propria conoscenza in maniera indiretta. Le smart-up hanno in altre parole un estremo bisogno di amici: partner professionali molto più grandi di loro, capaci di penetrare profondamente nel tessuto economico, ma prive di quella scintilla innovativa che le smart-up sono in grado di regalare loro.

Le smart city, i grandi progetti di mobilità, le iniziative sovrannazionali che favoriranno la sostenibilità ambientale, stanno già percorrendo la propria strada in gran parte del mondo e nella maggior parte dei casi si avvalgono proprio di questa sinergia virtuosa fra grandi integratori e piccole smart-up. I grandi capitali e la catena di intermediari che li mettono in contatto con gli innovatori (venture capitalist, business angel…) restano protagonisti di questa nuova fase evolutiva, ma con un ruolo differente. Tendenzialmente, il loro compito non sarà più finanziare la creatività, ma favorire l’incontro fra le smart-up e le grandi organizzazioni con cui lavoreranno.

È senza dubbio nient’altro che un’evidenza empirica, ma quando tre elementi convergono ciò che ne scaturisce è spesso qualcosa di positivo. I primi due (grandi imprese e capitali con la necessità di investire) esistono da tempo e sono ormai consolidati. Ciò che mancava, forse, erano le smart-up. Il loro arrivo potrebbe dimostrarsi quel terzo elemento che mancava. E se ciò fosse vero significherebbe che non solo la nostra economia, ma la nostra stessa vita, è destinata presto a migliorare.

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