Cibando si espande: due chiacchiere con il fondatore Guk Kim

 

Cibando, la startup italiana che si da come obiettivo «rivoluzionare il mondo della comunicazione per i ristoranti», ha annunciato un ambizioso piano d’espansione in chiave europea. Abbiamo deciso di fare quattro chiacchiere con Guk Kim, il venticinquenne fondatore dell’azienda, per avere un punto di vista diretto e qualche anticipazione sul futuro di Cibando.

 

 

Cibando è una realtà in crescita, ma si tratta della sua terza esperienza d’impresa. Da dove nasce la voglia di cimentarsi nell’imprenditorialità seriale?

Imprenditoria è sinonimo di sfida. Quando si crea una nuova impresa è perché ci sono nuovi problemi da risolvere e il fatto di provarci, cercando di fare sempre meglio della volta precedente, significa mettersi in gioco, mettersi alla prova, senza smettere di imparare. Non si tratta solo di lavoro, solo di numeri e fatturato, è qualcosa di più. Dare vita a un’impresa significa creare qualcosa che può portare un beneficio a molte persone e questo lato umano non può essere trascurato se si vuole fare impresa in modo sano.

Qual è la forza principale del team di Cibando? Su cosa investite maggiormente?

La forza principale è il team e investiamo molto sulla formazione del personale. Visto che l’età media dell’azienda è tra i 27-28 anni e proprio per la giovane età i ragazzi del team non hanno tanti anni di esperienza alle spalle, cerchiamo di formarli. Facciamo molte sessioni di formazione sia di vendita che di gestione delle pagine social etc. Personalmente cerco sempre di dare delle cose da fare alle persone anche se non sono competenti in quel settore, cosicché possano apprendere. Il fatto di poter apprendere cose nuove, di mettersi nella condizione di apprendere continuamente è un aspetto fondamentale per mantenere sempre acceso l’entusiasmo.

Quali sono le principali metriche di Cibando per quanto riguarda l’Italia?

I nostri clienti sono oltre 1.500, ma la metrica principale che teniamo in considerazione è la crescita del nostro fatturato.

 

Siete state tra le prime e poche start-up italiane che hanno ricevuto finanziamenti da VC stranieri. Avete in prospettiva la raccolta di nuovi round di investimenti?

Per il momento no, cercheremo prima di creare un’azienda sostenibile con i fondi che abbiamo già raccolto e poi ne cercheremo altri per velocizzare la crescita quando avremo la certezza che tutte le pedine si trovano nel posto giusto. Affrettare i processi non ha senso e la consapevolezza nei propri mezzi e nelle proprie possibilità, in questo caso, diventa imprescindibile per poter effettuare una crescita sana.

Potresti dare ai nostri lettori un’anticipazione riguardo il vostro piano di espansione? Immagino che affronterete il continente per paesi, piuttosto che in blocco. Da dove partirete?

Ora siamo in Italia, ma la nostra idea è di puntare il mercato britannico che, date le dimensioni gigantesche, ci consente ampi margini di manovra (solo a Londra si contano più di 10.000 ristoranti contro i 3.000 di Roma e 2.000 a Milano): lì ci focalizzeremo prima di tutto sulla selezione di personale madrelingua inglese. Abbiamo deciso di prendere in considerazione l’Inghilterra come primo Paese del nostro piano di espansione anche considerata la dimensione organizzativa e logistica: pensiamo, ad esempio, alla facilità del fuso orario (inoltre, lavorare negli USA significherebbe aprire un ufficio lì, ma per l’avvio in Inghilterra, almeno inizialmente, si può pensare anche di cominciare a lavorare direttamente dall’Italia).

Utilizzerete dei partner territoriali o gestirete tutto direttamente?

Non voglio rischiare che mi sfugga di mano qualcosa, e mi piace tenere saldamente le redini dell’azienda, in modo da riuscire a controllare il suo destino. Proprio per questo non ci affideremo a partner territoriali e preferiamo gestire tutto noi direttamente.

Quali ritenete possano essere i vostri principali competitor europei? Ritenete che il business model che state utilizzando per l’Italia possa essere replicato all’estero o prevedete delle modifiche a fronte di una competizione maggiormente strutturata?

I nostri competitor principali sono piccole realtà (come agenzie, fotografi e social media consultants). Con la nostra forza, la nostra esperienza e i nostri numeri, che confermano che siamo sulla strada giusta, però, riusciamo a portare più garanzie ai nostri clienti e più visibilità per la loro attività. Dopo aver studiato attentamente i vari mercati notiamo sempre gli stessi errori che i ristoratori commettono online (non solo quelli italiani) e noi, attraverso i nostri servizi, cerchiamo di eliminare questi errori, portando delle opportunità concrete per ogni ristoratore.

Per concludere: quali sono gli ostacoli principali che incontrate, e che tu personalmente hai incontrato, nel fare impresa in Italia?

La dimensione legata alla gestione del personale è l’aspetto più difficile. Non è semplice assumere personale, anche perché a volte non è facile trovare del personale specializzato, soprattutto quando parliamo di ruoli molto tecnici. La voglia di crescere e di vedere il team aumentare c’è ed è molto forte, ma visto i costi alti di assunzione, siamo obbligati a procedere con le assunzioni in modo molto lento e oculato.

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