Alla vigilia delle elezioni 2018, quali potrebbero essere i suggerimenti da parte dell’ecosistema startup per un futuro Governo? La situazione italiana e l’attenzione (discutibile) che il Governo ha dato finora all’ecosistema startup sono una premessa che rende utopistica la realizzazione di quanto Alberto Onetti, presidente di Mind the Bridge e Startup Europe Partnership, iniziative nate per sostenere e incentivare le realtà innovative, chiede al prossimo governo: più finanziamenti e più velocità. Semplice e quanto mai vero, è proprio quello che servirebbe per accelerare il nostro ecosistema dell’innovazione e delle startup, creare grandi imprese capaci di scalare internazionalmente, e farci recuperare quel gap che solo nel confronto con la Francia vale 1 a 10, cioè l’Italia investe in startup 10 volte meno della Francia. In una intervista realizzata da EconomyUp nell’ambito dell’iniziativa di Digital360, #InnovationFirst, che punta ad individuare le priorità per la trasformazione digitale e la crescita del Paese nell’agenda del prossimo governo, Onetti spiega il suo pensiero e individua le azioni che un Governo dovrebbe intraprendere verso il mondo startup. “Cosa servirebbe all’Italia per migliorare l’ecosistema delle scaleup? – dice Onetti – Uno o due miliardi di capitali pubblici in co-investimento, possibilmente evitando dispersioni e localizzazioni”. È molto concreto Alberto Onetti, presidente della Mind the Bridge Foundation, fondazione californiana che promuove l’impenditorialità in Europa e nel mondo, e Startup Europe Partnership (SEP), l’iniziativa che la Commissione Europea gli ha affidato per sostenere la creazione di startup di successo. Onetti non teme di fornire cifre precise, anche perché i numeri sono importanti e danno il quadro della situazione: “Il presidente francese Macron – dice – ha annunciato che il prossimo anno investirà 10 miliardi per l’innovazione e per le startup: al di là dell’annuncio politico, l’anno scorso la Francia ha investito 2 miliardi di euro in startup. Noi invece circa 100 milioni, ovvero venti volte meno dei cugini d’oltralpe. La Germania ha numeri simili alla Francia, la Gran Bretagna più che doppi. Persino la Spagna ne ha investiti più di noi: 600 milioni”. Ecco perché Onetti, in vista delle elezioni del 4 marzo, chiede al governo che verrà non annunci o buoni propositi, ma impegni concreti, come spiega a EconomyUp. Lo abbiamo intervistato nell’ambito dell’iniziativa di Digital360, #InnovationFirst, che punta ad individuare le priorità per la trasformazione digitale e la crescita del Paese nell’agenda del prossimo governo. “Il dato di fondo – afferma Alberto Onetti – è che l’Italia ha un ritardo madornale. Siamo partiti tardi rispetto agli altri Paesi e ci siamo dedicati con serietà al tema delle startup solo da qualche anno. Ma l’elemento grave è che, nonostante la partenza ritardata, andiamo a una velocità modesta”. I governi precedenti non hanno fatto proprio niente per l’ecosistema delle startup? Il Ministero dello Sviluppo economico, con il team guidato da Stefano Firpo, ha migliorato la cornice, l’ha raffinata, ma la prova d’amore – mettere soldi – non l’ho ancora vista. Al di là di visitare un incubatore o dare una pacca sulla spalla a qualcuno, non è stato fatto molto di più. Così il quadro storico è rimasto quello. Considerando il ritardo accumulato, o si iniettano nel sistema capitali importanti, oppure non ha alcuna speranza. Servono capitali pubblici, come in Francia, nell’ordine di 1 o 2 miliardi, che poi faranno da volano per capitali privati. Qualunque cosa si dica e si faccia senza aprire seriamente il portafoglio non ha senso. Il resto è demagogia. Eppure il ministero dello Sviluppo economico, che lei citava, ha attuato negli ultimi anni una specifica policy a favore delle startup. Tutti gli interventi sono puntati sul Fondo di garanzia, che in sostanza garantisce credito agevolato alle startup: è un buon intervento, ma è anche pericoloso. Stai dando debito a aziende che, per loro natura, hanno bisogno di equity. Alla fine va a favorire le startup ma forse non fa loro bene. È vero, nel 2016 si sono registrati 86 milioni di agevolazioni per le startup. Non è male. Ma alla fine manca l’equity istituzionale. Per startup e piccole e medie imprese innovative non ci sono già altri soggetti quali il Fondo Italiano di Investimento o Invitalia Ventures? I finanziamenti non superano i 100 milioni di euro. Investono più in Portogallo, fra poco anche in Polonia. E il veicolo è irrilevante, se ne può fare uno nuovo, possibilmente evitando dispersioni e localizzazioni: deve essere tutto centralizzato. La verità è che l’Italia ha smesso di innovare. Da noi c’è un problema serio di capacità innovativa di un sistema Paese, perciò serve una ricetta drastica: investire tanto, per poi produrre risultati che comunque non arriveranno prima di 5 anni. Abbiamo fatto passare 10/15 anni senza fare niente. Ad oggi gli esempi più interessanti sono le dual companies, società che hanno trovato finanziamenti all’estero e hanno mantenuto qualcosa in Italia. Qualche nome: MoneyFarm, Cloud4Wi…Oggi gli imprenditori non partono da qui, ma vanno direttamente all’estero. Non è solo fuga di cervelli, ma anche di imprenditori. Sicuro che i finanziamenti pubblici siano la soluzione? Quando c’è un ritardo il pubblico deve intervenire. E non è una decisione banale: è la scelta tra il futuro o il mantenimento di un sistema in declino.
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